Share

Milano

«Addetti al culto, una professione che è anche vocazione»

Il convegno regionale dell'Enbiff aperto dal saluto dell'Arcivescovo, che ha anche sottolineato: «La presenza di un sacrista professionale può qualificare l’attenzione alla liturgia e alle persone»

di Annamaria BRACCINI

23 Febbraio 2022
Da sinistra la moderatrice Virna Sabeni, monsignor Mario Delpini e don Roberto Bizzarri, presidente dell'Enbiff

«Andate a preparare la Pasqua»: questo il tema del primo convegno promosso, a livello di Regione Ecclesiastica Lombarda, da Enbiff, l’Ente bilaterale che riunisce la Federazione Italiana tra le Unioni Diocesane Addetti al Culto e Sacristi (Fiudac/s) e la Faci, la Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia. Nel teatro dell’Istituto salesiano Sant’Ambrogio di Milano, la mattinata di studi è stata aperta dall’Arcivescovo, cui erano accanto il presidente dell’Ente monsignor Roberto Bizzarri, e la moderatrice del convegno, l’avvocato Virna Sabeni. Tra i delegati, sacristi e sacriste impegnati nelle dieci Diocesi lombarde.

Dopo l’invocazione dello Spirito, con la preghiera del Sinodo, e l’affidamento a Maria, il saluto del’Arcivescovo ha indicato alcuni auspici per il cammino dell’associazione e dei suoi iscritti.    

Il saluto dell’Arcivescovo

«Esprimo il mio apprezzamento per un organismo che vuole farsi conoscere, facilitare il servizio alle comunità e il rapporto dei sacristi con i datori di lavoro e le parrocchie. Come pure per mi rallegro per il modo con cui la presenza di un sacrista professionale può qualificare l’attenzione alla liturgia e alle persone», ha detto l’Arcivescovo in apertura del suo breve intervento.

Delpini_Addetti al culto
L’Arcivescovo durante il suo saluto

«La vostra è una professione che non può che essere svolta come una vocazione, pur essendo un lavoro a tutti gli effetti – che, come tale, va normato e trattato -, ma che tuttavia sta dentro una logica liturgica diversa da qualunque altra prestazione di servizio. Infatti la liturgia, per i cristiani, è il punto centrale della vita di una comunità: è il modo con cui si dà gloria a Dio ritrovandosi, celebrando i Misteri, aprendosi alla speranza a motivo della carità. Tutto ciò che è in chiesa – il pane, il vino, i riti e gli oggetti – introducono, dunque, al Mistero e, quindi, si può dire che l’opera dei sacristi partecipi di questa natura e dinamismo sacramentale che favorisce la preghiera e l’essere Chiesa. È perciò è un servizio anche pastorale ed è, come abbiamo detto, una vocazione e un aiuto a camminare sulle vie del Signore. Per questo occorrono approfondimenti, essendo una professione che coinvolge anche la vostra fede personale nella collaborazione alla vita pastorale».

Da qui, la necessità di un secondo aspetto, sottolineato dall’Arcivescovo Mario: l’incremento della professionalità: «Un volontario, per sua stessa natura, è tenuto meno di un professionista, appartenente alle associazioni di categoria, ad essere aggiornato e ciò non solo sulle normative o i contratti, ma sulle competenze. Ma voi dovete farlo».

Addetti al culto_convegno regionale
Una fase dei lavori del convegno

Infine, il tema proprio del rapporto con i datori di lavoro, per cui Enbiff intende «garantire un percorso che non è solo tecnico», ma che affronta i problemi con uno stile preciso. Infatti, se «lavorare in chiesa non significa cancellare i diritti», è necessario «avere un tratto che deve caratterizzare i passaggi contrattuali, ossia lo stile di chi cerca una convergenza nelle trattative dei rapporti lavorativi senza conflittualità. Il lavoro che a che fare con il celebrare è quindi una vocazione che chiede un aggiornamento, da vivere con i datori di lavoro in uno stile di pace, come è il luogo dove il sacrista svolge il suo compito».

La mattinata è poi proseguita con l’illustrazione della sintesi degli Atti del convegno nazionale Enbiff svoltosi a Roma nel novembre scorso, con una riflessione sui servizi e le prospettive future dell’Ente bilaterale e con il dibattito finale.

Leggi anche:

«Sacristi, la formazione è indispensabile»

«Dalle Mauritius a Milano, Dio mi ha riportato in parrocchia»