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La vigna incolta

Le parole di Benedetto XVI all'apertura del Sinodo sulla Parola di Dio nella basilica di San Paolo: nazioni ieri ricche di fede oggi sono senza identità «sotto l'influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna». Il compito dei cristiani è trasmettere la parola e farla fruttificare

6 Ottobre 2008

06/10/2008

di Fabio ZAVATTARO

C’è una cultura moderna che vuole l’uomo unico artefice del proprio destino, in un certo senso proprietario assoluto del mondo. Ma proprio questo lo rende vittima di ingiustizia e di violenza. È divisa e confusa l’umanità che dimentica Dio, che non ascolta la sua parola. E proprio “La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” è il titolo della XII Assemblea del Sinodo dei vescovi.

253 padri sinodali per tre settimane metteranno a tema proprio la Parola, perché, si legge in un passaggio dell’Instrumentum laboris, «non mancano i rischi di un’interpretazione arbitraria riduttiva, dovuti anzitutto al fondamentalismo, per cui da una parte si manifesta il desiderio di rimanere fedeli al testo, dall’altra si misconosce la natura stessa dei testi, incorrendo in gravi errori e generando anche inutili conflitti». Esistono pure le «cosiddette letture ideologiche della Bibbia, secondo precomprensioni rigide di ordine spirituale o sociale o politico, o semplicemente umane senza il supporto della fede».

San Paolo, la basilica che prende il nome dall’apostolo delle genti, è il luogo dove Papa Benedetto apre il Sinodo. Luogo simbolo nella storia della Chiesa: qui Giovanni XXIII ha annunciato il Concilio Ecumenico Vaticano II. Qui Giovanni Paolo II ha aperto la porta santa assieme al patriarca ortodosso Athanasios e all’arcivescovo anglicano di Canterbury, George Carey. Qui Benedetto XVI ha aperto l’Anno Paolino.

La candela accesa dal Papa arde nell’atrio della basilica. E, dunque, inusuale sede – mai un Sinodo è stato aperto in una basilica diversa da quella di San Pietro – a significare proprio il legame forte con l’anno che fa memoria dell’apostolo che per primo si spinse a portare la parola al di fuori dei confini della Terra Santa. Impegno mai accantonato perché la Parola deve illuminare «ogni ambito dell’umanità, dalla famiglia alla scuola, alla cultura, al lavoro, al tempo libero e agli altri settori della società».

La lenta, suggestiva processione si snoda lungo la navata centrale e raggiunge l’abside. Il Papa commenta la parabola evangelica dei vignaioli che cacciano e uccidono i servi del padrone, e anche suo figlio. Vigna e vignaioli sono oggi quelle comunità un tempo «fiorenti» e che «ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna» e colui che «avendo deciso che “Dio è morto”, dichiara “dio” se stesso, ritenendosi l’unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo». Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente, e cioè il rischio che «si estendano l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione».

Una pagina, la parabola della vigna e dei vignaioli, che interpella, in modo speciale, «i popoli che hanno ricevuto l’annuncio del Vangelo. Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti». Comunità cristiane fiorenti, sono poi scomparse; e questo dice il Papa può accadere anche oggi: «Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna».

Ancora, «sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l’uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l’uomo elimina Dio dal proprio orizzonte è veramente più felice? Diventa veramente più libero? Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace?». Il punto di arrivo alla fine, afferma ancora il Papa, «è che l’uomo si ritrova più solo e la società più divisa e confusa».

La vigna non sarà distrutta, sarà affidata a servi fedeli, mentre i vignaioli infedeli saranno abbandonati al loro destino. Il disprezzo per l’ordine impartito dal padrone si trasforma in disprezzo per lui stesso. Commenta il Papa: «Non è la semplice disubbidienza a un precetto divino, è il vero e proprio rigetto di Dio». Parole per dire: se la fede in alcune regioni si affievolisce ci sono altri popoli pronti ad accoglierla. E questo è il compito dei cristiani: trasmettere la parola; farla fruttificare.

Nella certezza che «il male e la morte non hanno mai l’ultima parola, ma a vincere alla fine è sempre Cristo». Tanti non lo hanno ancora incontrato, ricorda Benedetto XVI, tanti sono ancora in attesa del primo annuncio; altri si sono affievoliti nell’entusiasmo e si sono allontanati dalla pratica della fede. E c’è chi, infine, è in ricerca, si pone domande sul senso della vita e della morte. Compito dei credenti, ricorda il Papa, indispensabile per i cristiani di ogni continente è «essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro». Ed ecco la Parola, antica e sempre nuova.