28/07/2008
di Severino Pagani
Vicario episcopale, responsabile Servizio per i giovani
Scrivo da Melbourne, dove siamo ritornati con 120 giovani della diocesi di Milano, per un’altra settimana di gemellaggio, accolti con grande disponibilità dalle famiglie della parrocchia di Maria Ausiliatrice, molte tra loro di origine italiana. Da pochi giorni si è conclusa la Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney e viene spontaneo trarne un insegnamento. Si intersecano i commenti dei ragazzi e alcune considerazioni più generali che danno da pensare in rapporto alla trasmissione della fede e alla conduzione di una pastorale giovanile.
Innanzitutto, vissuta dal di dentro la Gmg non è la stessa che si può vedere da lontano: è più immediata, meno ideologica, più fresca, più promettente. D’altra parte pero è un episodio che va letto in una trama più ampia: la Gmg è preziosa, ma da sola non basta. Da questi bellissimi giorni trascorsi insieme, mi vengono semplici considerazioni.
La Gmg 2008 ha riportato alla coscienza giovanile con particolare intensità e forza l’esistenza e la consistenza dello Spirito Santo. Benedetto XVI ha speso parole – non scontate, ma necessarie – per collocare lo Spirito Santo in rapporto a Gesù e come la terza persona, forse un po’ dimenticata, della Santissima Trinità.
Non si tratta di uno Spirito generico che aleggia indistintamente nella psicologia o nella storia del mondo: si tratta dello Spirito di Gesù, quello che si impara con il segno della croce, l’Unico in grado di dare senso e direzione a ogni vita spirituale e alla vocazione di ogni giovane credente.
Lo Spirito Santo è anima e sorgente di ogni vita spirituale, è colui che dà senso alla vita e alle cose, colui che come sorgente di acqua viva dà gusto alle cisterne screpolate dell’esistenza. Lo Spirito dice che non si può educare alla fede senza riferimento a Gesù e nel contempo lo Spirito non può essere rarefatto al di fuori del mistero della Chiesa. Lo Spirito e la vita spirituale che da esso deriva dovranno essere tenuti in grande considerazione in ogni proposta di pastorale giovanile. È la vita spirituale che caratterizza la sostanza di ogni educazione alla fede.
La seconda considerazione si riferisce al contesto culturale in cui è stata celebrata la Gmg. Da più parti a Sydney e a Melbourne si leggono cartelli pubblicitari in cui si celebra con compiacenza la straordinaria capacità di favorire la convivenza pacifica e produttiva di molta razze, lingue e religioni, in una quantità e diversità impressionanti.
Tutto questo porta nei giovani più attenti, intelligenti e sensibili a porsi la questione del rapporto tra fede cristiana-cattolica e contesti culturali molto diversi tra loro. Potrebbe apparire astratta, in realtà diventa subito concreta quando ci si misura su alcune prassi religiose, sul valore della verità e sulla singolarità insostituibile della persona di Gesù.
Oggi i ragazzi viaggiano nel mondo e su internet, conoscono e convivono con coetanei credenti, atei, indifferenti e devoti. Per loro la questione della fede esige di essere ricollocata in schemi mentali nuovi che riescano a configurare l’assolutezza della fede cristiana, la peculiarità della Chiesa cattolica, la struttura del dialogo e la prassi della propria esistenza spirituale.
Attraverso la secolarizzazione, comunque la si intenda, si deve passare: i giovani hanno bisogno di un aiuto per non finire in un relativismo che svuota oppure in una difesa troppo affrettata, autoritaria e non credibile da parte di molti strati giovanili. Dobbiamo ricollocare la fede in un rinnovato rapporto alla cultura, con parole semplici, con una ragione più larga, con una esistenza più gioiosa.
Basta uscire dai nostri abituali contesti per capire che molti giovani pur vivendo in Italia respirano questioni più universali. In questo senso sono più avanti degli adulti e non per questo meno disposti alla fede. Non possiamo stare fermi su questioni troppo piccole: il mondo, per i giovani, è già cambiato.
Una terza considerazione nasce dall’accorgersi che il volto della Chiesa è geograficamente e storicamente diverso. Da un lato, vedendo alcune esperienze o la mancanza di esse, si impara ad apprezzare le nostre tradizione e istituzioni. Dall’altro ci si accorge che molte cose sono diverse e che anche da noi potrebbero cambiare, senza per questo temere che il Vangelo venga meno.
I giovani sono più flessibili degli adulti, sentono la fede immediatamente legata ai loro bisogni esistenziali, apprezzano le proposte esigenti e i richiami alla santità, come sono stati fatti nelle catechesi di questi giorni, ma poi si chiedono come fare a non stancarsi, a non scoraggiarsi, a non restare da soli.
Il rispecchiarsi giovanile di questi giorni è stato un grande dono, ha sciolto molte solitudini nella fede: è stato un colpo di gioia al desiderio di identità cristiana che pur sempre rimane nei ragazzi di oggi. Le ampie dimensioni dell’Australia, l’immensità degli orizzonti, l’altezza dei grattacieli, invocano una più grande libertà interiore, che non si riesce più a rinchiudere in questioni troppo anguste della nostra pur lodevole prassi pastorale.
Abbiamo trovato meno strutture, ma più libertà: noi abbiamo bisogno di entrambi, in una sintesi nuova. I giovani non sono ingenui, apprezzano e consumano le più alte innovazioni tecnologiche, ma invocano pur sempre un vero senso di Dio e una radicale dimensione dell’amore. La Gmg ci dà una mano per investire in autentiche energie educative, in strutture più leggere e in relazioni più profonde.
Infine, possiamo dire che viene spontaneo il desiderio di ritornare, dopo Sydney, a esprimerci con qualità nella vita quotidiana: dopo questa esperienza a qualcuno è venuta veramente la voglia di riprendere in mano la propria vita spirituale, nella convinzione che per raccontare Gesù bisogna prima averlo nel cuore.