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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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«Il Segno»

Tra quindici anni appenderemo gli sci al chiodo?

Scarsità di neve e aumento delle temperature ostacolano la sopravvivenza degli impianti a bassa quota: ne parla il numero di dicembre del mensile diocesano

di Stefania CECCHETTI

23 Dicembre 2022
Foto Dave Long / iStock

A causa della crisi climatica gli appassionati dovranno forse dimenticare le sciate invernali e le settimane bianche con la famiglia. Il Segno di dicembre dedica a questo tema la rubrica “Laudato sì”

La crisi climatica non è più una faccenda solo per studiosi o da rapporti dell’Ipcc (il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici). È già entrata nella nostra vita di tutti i giorni e la sta cambiando. L’ultima novità è che sembra ci restino solo una quindicina di anni prima di dover appendere per sempre gli sci al chiodo: nel 2036, a Cortina – la regina dello sci, sede con Milano delle Olimpiadi invernali 2026 -, potrebbero non esserci più le condizioni per una stagione sciistica. Ad affermarlo sono le Nazioni Unite: nel rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) sullo Stato dei servizi climatici 2022, sono stati analizzati alcuni casi di studio, tra cui quello del Bellunese, che non lasciano spazio a grandi speranze. Con buona pace dei gestori degli impianti che a questi allarmi sono soliti replicare citando questa o quella stagione di buone nevicate. Come per esempio l’inverno del 2020, quando scese tanta neve come mai negli anni precedenti; ma, beffa delle beffe, gli impianti rimasero chiusi per il Covid.

Impianti dismessi sul Monte San Primo, nel Triangolo Lariano (foto Daniele Mezzadri / iStock)

La tendenza

Ma come una rondine non fa primavera, non basta una forte nevicata ogni tanto per riportarci agli inverni di una volta. Lo spiega Riccardo Scotti, responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo, un’organizzazione di volontariato scientifica non profit, impegnata dal 1992 nel campo della ricerca e monitoraggio in ambito glaciale alpino. «Sotto i 2 mila metri la tendenza a un innevamento più frammentario e intermittente è ormai chiarissima – afferma -, in alta quota, invece, il trend può essere meno evidente. In un quadro di cambiamento climatico, nel quale la quantità di energia in circolo aumenta e con essa gli eventi estremi, può succedere che ci siano saltuari picchi di precipitazioni. Il che a bassa quota significa più pioggia, che scioglie la già poca neve, ad alta quota, invece, ciò può voler dire più neve». Questo naturalmente non cambia la sostanza: gli inverni in montagna sono sempre più caldi e meno nevosi, come ha dimostrato quello scorso, segnato dal binomio infernale caldo più siccità.