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Milano

Scola: «Lavorare per una cittadinanza non solo politica, ma sociale, culturale e religiosa»

All’Università Cattolica l’incontro di chiusura del progetto della Fondazione Oasis «Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca». Diverse voci a confronto, tra le quali quelle dell’Arcivescovo e dell’imam di Bordeaux Tareq Oubrou

di Annamaria BRACCINI

23 Novembre 2016

Cosa significa la parola «cittadinanza»? Per qualcuno è un dato naturale e del tutto ovvio. Per altri (molti, ormai) qualcosa da acquisire con fatica. Per tutti, in ogni caso – ragionando soprattutto di immigrazione – un concetto ampio su cui continuare a riflettere. Così si è fatto nella Cripta dell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove un confronto a più voci ha concluso il progetto di ricerca «Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca», realizzato nel 2016 dalla Fondazione Oasis con il contributo di Fondazione Cariplo.

Intitolato «Islam in Europa: la sfida della cittadinanza», l’incontro – moderato dalla direttrice editoriale di Oasis Rolla Scolari – ha visto gli interventi del cardinale Scola, di Tareq Oubrou (imam della moschea di Bordeaux), di Khaled Chaouki (deputato del Pd e coordinatore dell’intergruppo “Immigrazione e cittadinanza”), di Luciano Fontana (direttore del Corriere della sera) e di Franco Anelli (rettore della Cattolica).

Il dibattito sulla cittadinanza

Proprio da Anelli è venuta una prima specificazione della cittadinanza, «che è categoria politica e, insieme, etica ed etnica. Ci rendiamo conto che la cittadinanza ha un valore discriminante ancora adesso. Ci sono diritti civili, politici, sociali: i primi, con il progresso, si concedono più facilmente; quelli politici e sociali sono assai più difficili. Discutere la cittadinanza significa discutere della vera accettazione di un individuo nella società».

Appassionato e intenso l’approfondimento di Oubrou, teologo molto ascoltato non solo in Francia, per il quale «si tratta di recuperare le radici spirituali della fede musulmana. Non è solo adeguarci alla legge, che è necessario, ma inculturare la fede». Un Islam che confonde il rilievo spirituale con quello politico è figlio di una logica di dominazione, suggerisce l’Imam di Bordeaux, «mentre esso è capace di circolarità tra i diversi cotés e di secolarizzazione: tanto che Maometto non si è definito re, ma inviato di Dio».

Parole cui fa eco Chaouki, che parte dal “modello” italiano di integrazione rispetto a quelli europei: «Un certo ritardo nel nostro Paese può rappresentare anche un’opportunità per capire alcuni errori compiuti altrove: anzitutto quello per cui il dialogo con i musulmani passi solo per le comunità, non aprendo a uno sguardo più ampio». «In un quadro di uguaglianza si tratta di poter interloquire nell’Islam, senza fare gradazioni tra chi è più o meno musulmano. Ma c’è un prerequisito: riconoscere almeno la legge sulla libertà religiosa, garantendo luoghi di culto». Poi, un secondo elemento: «Occorre concepire lo spazio della cittadinanza non solo a livello europeo o nazionale, ma soprattutto di aree regionali del mondo. Specie per i giovani, il fenomeno dei foreign fighters non può essere legato solo al disagio psicologico, ma è la ricerca di un ideale di appartenenza che né l’Europa, né la leadership politica islamica hanno saputo offrire e interpretare. Abbiamo la necessità urgente di andare oltre i confini europei, guardando al dibattito interno al mondo islamico, garantendo i diritti minimi e insieme lavorando di più sulle buone pratiche con una “contronarrazione” che offra nuovi modelli. Dobbiamo farlo con le leggi, attraverso un dialogo più strutturato, che valorizzi le esperienze positive che pure esistono», conclude il parlamentare 

Per il direttore Fontana, «il tema dell’immigrazione e del rapporto con l’Islam sta scardinando molti aspetti nelle istituzioni politiche europee. Basti pensare a ciò che è accaduto in questi giorni in Francia o negli Stati Uniti. La migrazione è il tema dei prossimi decenni e serve una cittadinanza più alta come espressione di una comunità di destino e di amicizia civica». Su questo «nessuno può cavarsela con una scrollata di spalle, nemmeno i media: non aver intuito la Brexit e l’elezione di Trump ci costringe a fare autocritica». Tutto ciò comporta, per Fontana, un doppio movimento di riconoscimento reciproco: «Da parte di noi italiani nati nel Paese – è in ritardo il Parlamento, ma anche il dibattito culturale – e da parte dei musulmani perché, con il passaggio decisivo segnato dalla strage del Bataclan, si è diffusa l’idea del “nemico in casa”».

L’analisi del Cardinale

Infine, la riflessione del Cardinale: «La cittadinanza è condizione inevitabile per l’espressione della dignità totale della persona. Dobbiamo condividere la ricerca appassionata del senso della cittadinanza di questa comunità solidale e di destino nel pieno rispetto del volto dell’altro». Se l’appello è a «ritrovare, a tutti i livelli, questo ideale alto», il riferimento dell’Arcivescovo va «al cristianesimo europeo, con quell’appartenenza non settaria e non ideologica che connota l’esperienza della fede».

«L’elemento della tradizione, nel senso potente e nobile della parola, è il punto di partenza, ma per guardare al futuro, non solo per fare un discorso sulle radici cristiane». Anche perché «la debolezza dell’Occidente europeo, che è stata definita la società della stanchezza, ci obbliga a rispettare almeno due condizioni per andare verso il futuro. La prima è assumere fino in fondo, nella sua interezza e senza selezioni arbitrarie, ciò che il cristianesimo è attraverso i suoi misteri». Qui si trova la base, secondo Scola, per concepire, per esempio, un corretto «rapporto tra uomo e donna o la modalità di edificare la società civile come implicazioni contenute esplicitamente nella nostra fede».  In secondo luogo, «ciò che sta avvenendo, accade in una società plurale che domanda a tutti di superare un’attitudine egemonica. L’unica strada è dare testimonianza, narrare il bene, le esperienze della propria appartenenza e lasciarlo fare agli altri. Dobbiamo giocarci e non giocare con questi problemi e con la vita».

Infine, l’atteggiamento per vivere una tale comunità di destino: l’umiltà. Cita, il Cardinale, Ben Slama («i terroristi si sottomettono a Dio solo sottomettendo Dio a sé») e il profeta Michea («cammina umilmente con il tuo Dio») e conclude: «È comprensibile avere paura, ma le paure da sole non portano da nessuna parte, in alcun campo della vita umana».

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