Share

Eventi

La memoria degli oggetti, la tragedia di Lampedusa in una mostra

L'esposizione ricorda i 368 migranti morti il 3 ottobre 2013. Sarà aperta fino al 31 ottobre al Memoriale della Shoah di Milano

3 Ottobre 2023

La macchinina rossa di un bimbo. Uno specchio rotto. Un bigliettino scritto a mano. Sono piccoli oggetti quotidiani come questi i protagonisti della mostra «La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo», aperta fino al 31 ottobre presso il Memoriale della Shoah di Milano, (Piazza Edmond J. Safra 1).

Un’esposizione nata da un’idea di Valerio Cataldi, giornalista Rai che da anni si occupa di immigrazione, e di Giulia Tornari, Presidente di Zona, un’associazione culturale che sviluppa progetti documentaristici dedicati ai nuovi linguaggi della fotografia, del video e del giornalismo. Scopo della mostra è fare memoria – appunto – della tragedia del 3 ottobre 2013, quando nel mare di Lampedusa furono recuperati i corpi senza vita di 368 persone. L’evento ebbe un enorme impatto sull’opinione pubblica, generando un moto di pietà e di indignazione, che però non è riuscito a impedire che tanti altri morissero ancora in quel mare. Sono infatti oltre 31.000 le persone che dal 2014 a oggi sono annegate nel Mediterraneo con la speranza di raggiungere l’Europa.

La mostra, curata da Paola Barretta, Imma Carpiniello, Valerio Cataldi, Adal Neguse e Giulia Tornari, espone gli oggetti e le foto appartenuti ai migranti e il lavoro fotografico inedito di Karim El Maktafi, che li ha documentati attraverso degli “still-life”, ma che ha anche immortalato il mare e i paesaggi di Lampedusa, luogo simbolo di approdo, ma purtroppo anche di tragedie e naufragio. Karim El Maktafi ha realizzato anche i ritratti di alcuni dei soccorritori come Giusi Nicolini, già Sindaco di Lampedusa, e di alcuni sopravvissuti e parenti delle vittime.

Arricchiscono l’esposizione gli audio dei primi che prestarono soccorso, il video del barcone inabissato e i servizi televisivi di Valerio Cataldi, il giornalista Rai che nel dicembre 2013 rivelò al TG2 il trattamento disumano riservato agli ospiti del centro di prima accoglienza dell’isola teatro della strage, che poi venne chiuso.

Altro protagonista al Memoriale della Shoah è Adal Neguse, rifugiato eritreo, con i suoi disegni e la sua storia: fratello di Abraham, vittima del naufragio, racconta con i tratti della matita le atrocità delle torture subite dai giovani del suo Paese che tentano di scappare dal regime.

L’identità è un diritto

La scelta di raccontare quel tragico 3 ottobre attraverso le piccole cose appartenuti alle persone morte è molto significativa. Attraverso quegli oggetti, repertati allora dalla polizia come corpi di reato, prove da portare in tribunale, è stato possibile molte volte identificare le persone decedute anche grazie alle rilevazioni del DNA, dare loro un nome e restituire dignità anche ai loro familiari. È il lavoro che ha svolto Cristina Cattaneo, Direttrice del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano (documentato nel volume Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, leggi qui la recensione): «Identificare i morti – spiega – è di solito un’attività prioritaria nei disastri. I parenti delle vittime senza nome del naufragio del 3 ottobre 2013 hanno dovuto aspettare 12 mesi prima che si attivasse qualche sparuta iniziativa per identificare quei corpi sconosciuti». E prosegue: «L’identità è un diritto ma evidentemente non di tutti. Restituire loro l’identità e riconoscere la loro storia va addirittura oltre il rispetto dei loro diritti: significa togliere loro l’anonimato in cui costringiamo come masse di corpi ritrovati in mare e riconoscere che, in fondo, loro sono noi».

Della necessità di costruire una memoria collettiva è convinta anche Milena Santerini, ordinaria di Pedagogia interculturale all’Università Cattolica e Vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah: «Il Mediterraneo degli ultimi decenni è uno dei luoghi in cui la memoria è sepolta e nascosta. Resta quindi il dovere di togliere dall’oblio bambini, donne e uomini che vi sono annegati, almeno ricordando i loro nomi e conservando i pochi oggetti che ci sono pervenuti. Ed è significativo farlo al memoriale della Shoah di Milano, che custodisce il ricordo di coloro che sono partiti “per ignota destinazione” dalla Stazione Centrale tra il 1943 e il 1945. La tragedia dei naufraghi migranti del Mediterraneo è completamente diversa; la storia non si ripete e attenzione a impropri confronti. Ma il ricordo della Shoah, nella sua indicibile particolarità, illumina anche i loro percorsi ammonendoci – oltre che sul dovere di impedire altre morti – di salvaguardarli identità e la dignità di tutte le vittime e con loro anche della nostra».