Nella casa di accoglienza dedicata a Suraya, la piccola siriana nata “profuga” a Milano, si può comprendere ulteriormente il senso del lavoro di una realtà come quella di Oasis, che lunedì e martedì scorso ha riunito la sua rete internazionale a Sarajevo per lavorare sul tema “Tentazione violenza. Religioni tra guerra e riconciliazione”.
A Milano come nelle altre capitali dell’Europa “opulenta”, nell’incontro con Suraya e le famiglie profughe, di fatto si stanno facendo i conti con quello che accade in Medio Oriente oggi. Anche per questo, per comprendere dalle radici quei fatti di cronaca che ci investono direttamente nei loro risvolti imprevisti, la Fondazione Oasis, creata nel 2004 dal cardinale Angelo Scola, ha scelto un tema che la cronaca di questi giorni documenta come sempre più tragicamente attuale. Basti pensare alla guerra crudele in Siria, che continua a generare un movimento di rifugiati oltre ogni livello di sostenibilità nei Paesi vicini e ormai sempre più nelle nostre città qui in Italia; o alla violenza cieca praticata da gruppi di jihadisti in Iraq, dove da un giorno all’altro quasi mezzo milione di persone ha lasciato la propria casa per non farsi ammazzare dai terroristi islamisti.
Nella capitale dolorosa dei Balcani personalità provenienti da Egitto, Giordania, Marocco, Spagna, Francia, Belgio, Nigeria, India, Iran, Canada, Stati Uniti si sono riunite per lavorare su quattro linee-guida, nelle quali si sono innestati i diversi interventi: la problematizzazione della guerra, per cui all’aumento di una diffusa sensibilità “pacifista” sembra corrispondere paradossalmente una radicalizzazione della violenza che ha condotto a genocidi e oggi al terrorismo in forme sempre più minacciose; la rilettura delle conseguenze del primo conflitto mondiale sul mondo islamico, come la fine del califfato ottomano, la nascita dell’Islam politico e del nazionalismo arabo; il ritorno in alcuni Paesi musulmani della violenza religiosamente motivata che alimenta per reazione in Occidente il sospetto nei confronti delle fedi, soprattutto di quelle monoteiste, considerate in sé violente e intolleranti; infine la memoria per la guerra in Bosnia (1992-1995), che a Sarajevo ha lasciato tracce indelebili.
Della vicenda di Cristo come «un oggettivo superamento della logica della violenza e come tale misura del passato e del futuro della storia umana» ha parlato il cardinale Angelo Scola, nel suo intervento di apertura dei lavori, nel quale si è soffermato sul possibile contributo dei cristiani all’incontro tra uomini di religioni diverse: «Il congedo definitivo dalla logica della violenza che l’evento pasquale porta in sé è anche il principale contributo che come cristiani pensiamo di poter offrire oggi al dialogo interreligioso. È stata la grande intuizione di Assisi e il messaggio che papa Francesco ha appena ripetuto in Terra Santa, lanciando dalla spianata delle moschee “un accorato appello a tutte le persone e le comunità che si riconoscono in Abramo: rispettiamoci e amiamoci gli uni gli altri come fratelli e sorelle! Impariamo a comprendere il dolore dell’altro! Nessuno strumentalizzi per la violenza il nome di Dio! Lavoriamo insieme per la giustizia e per la pace!”».
Ai lavori hanno preso parte, con esperti accademici di importanti università e centri di ricerca del mondo, anche il Reis-ul-ulema Husein Kavazović, capo della comunità islamica della Bosnia Erzegovina, e il cardinale Vinko Pulić, arcivescovo di Sarajevo, che hanno offerto la loro testimonianza a partire dalla memoria della guerra dei primi anni Novanta, delle ferite profonde e del desiderio bruciante di ripartenza e ricostruzione non solo degli edifici, ma dei cuori.
Una buona parte degli interventi del comitato sarà pubblicata nel prossimo numero della rivista plurilingue Oasis e nelle newsletter online (www.fondazioneoasis.org).