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Monza

Devianze giovanili (e adulte), la prevenzione sta nella relazione

Il dilagante fenomeno delle dipendenze (da sostanze o devices) tra i minori, le responsabilità dei “grandi”, l’inefficacia della sola repressione al centro di un confronto a Villa Reale tra rappresentanti istituzionali, magistrati ed educatori, con la conclusione dell’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

12 Novembre 2025
I relatori della tavola rotonda

«Un’ossessione», come l’ha definita il Papa. «Una tragedia», per usare le parole del Presidente della Repubblica durante la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze. E della piaga della dipendenza – un mondo dalle molte facce e declinazioni – si è parlato anche nell’artistico teatro della Villa Reale di Monza, in un’affollata tavola rotonda promossa dalla Zona pastorale V con il sostegno della Questura di Monza-Brianza.

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Aperto dai saluti istituzionali del vicario di Zona, monsignor Michele Elli, del questore Filippo Ferri e del prefetto Enrico Roccatagliata, l’incontro ha visto la presenza, tra gli altri, del sindaco Paolo Pilotto, dell’arciprete Marino Mosconi, di don Gianluca Bernardini (cappellano della Polizia di Stato di Milano), di molti sacerdoti, impegnati specie nelle Pastorali giovanili del territorio e di responsabili di Servizi e Uffici diocesani legati all’educazione, alla scuola e all’oratorio. Sul palco, con la moderazione di Milo Infante, vicedirettore degli Approfondimenti Rai, un panel di relatori di eccellenza, a partire dall’Arcivescovo. Accanto a lui Giuseppe Spina, direttore centrale per i Servizi antidroga del Ministero dell’Interno, il procuratore di Milano Marcello Viola, il collega del Tribunale dei Minori Luca Villa e la docente di Psicologia sociale e di comunità della Cattolica Elena Marta, da tempo impegnata “sul campo” come direttrice del Centro di ricerca Cerisvico.

Da sinistra, Marcello Viola, Luca Villa ed Elena Marta

La risposta alle paure giovanili

Proprio lei ha aperto i lavori della serata, con un interrogativo: «Responsabilità significa essere capaci di dare risposte, ma quali sono le domande dei giovani oggi?». È la domanda di senso per adolescenti e ragazzi, «che hanno una grande paura di sbagliare e di deludere i genitori, gli insegnanti, gli amici, di non essere all’altezza degli standard iper-performanti che gli poniamo davanti». «Ci restituiscono – ha aggiunto Marta – quello che noi adulti non trasmettiamo: hanno paura del futuro perché vedono la crescita in modo minaccioso e minacciante. Chiedono il senso del vivere. Si sentono osservati, ma non visti nelle loro risorse e questo genera una rabbia strisciante da cui nascono paure e sofferenze, per le quali la dipendenza è una sorta di automedicazione». Indicativo, a queto proposito, il dato secondo cui si registrano livelli di aspettative e speranze alti tra i ragazzini di 13-14 anni, ma che diminuiscono con l’aumento dell’età: «Dobbiamo accompagnarli un po’ di più e giudicarli un po’ di meno», la prima conclusione della psicologa sociale.

Per il generale dei Carabinieri Spina – che Infante chiama scherzosamente «lo zar antidroga» e che è alla guida di un dipartimento articolato e nevralgico con reti di esperti dislocati nei Paesi che hanno maggior peso nella produzione o lo stoccaggio di sostanze -, le questioni fondamentali sono la repressione del fenomeno del traffico di sostanze (sempre in crescita), ma anche la prevenzione. Basti pensare che il famigerato Fentanyl in America, nel 2024, ha causato la morte di quasi 100 mila persone e che oggi c’è un muro (come quello dei caduti nella guerra del Vietnam) che ne ricorda i nomi: «La realtà degli oppioidi sintetici ha tante facce e si è evoluto. Il consumo di cannabis nel 2024, tra i giovani e i minorenni, ha superato quello degli adulti: 5,5% contro il 4,4%. È un mondo approcciato dai giovani su piattaforme dove si arriva con grande facilità all’acquisto, ricevendo direttamente a casa le sostanze e, quindi, rendendo quasi impossibile il tracciamento», il suo grido di allarme, tenendo conto anche che la cannabis – la “canna”, attualmente non percepita come una forma grave di dipendenza e largamente accettata a livello sociale – contiene, rispetto a qualche decennio fa, una quantità di Thc superiore del 30-45%.

La situazione di Milano

«La Procura di Milano si occupa di dipendenze gravemente criminogene e che hanno un impatto sotto gli occhi di tutti – spiega il procuratore Viola -. Abbiamo due comparti: uno si occupa dei grandi traffici, con la Direzione Distrettuale Antimafia, e c’è un dipartimento che si interessa della criminalità diffusa che forse è ciò che preoccupa di più i cittadini. Crescono le denunce, i reati, i sequestri di droghe, ma anche l’immissione di queste sul mercato da parte anche di organizzazioni internazionali. Se non si fa rete contro la droga, con le istituzioni e il territorio, non si va da nessuna parte. Per esempio, anche da noi abbiamo le prime evidenze della diffusione del Fentanyl, che è facile da realizzare. Milano è la piazza perfetta per lanciare droghe, incrociare domanda e offerta e qui gli spacciatori fanno sperimentazione».

Parole a cui fa eco il procuratore del Tribunale dei Minorenni di Milano Villa: «Il nostro lavoro è bello e difficile: si parte dalla caduta di un ragazzo – a cui bisogna far capire che comunque è un reato con una sanzione penale e non è facile, perché hanno tanti stereotipi – e si cerca di capire. Sono calate le droghe sintetiche, ma quello che colpisce è che il consumo delle sostanze sia diffuso tra l’80% dei ragazzi». Abbastanza impressionante la giornata-tipo di questi giovani, come la racconta il magistrato, dopo averne ascoltati moltissimi: «Cenano, si fanno una canna, stanno attaccati al cellulare fino alle 2 di notte, la mattina non riescono ad andare a scuola e lì inizia un ciclo di marginalità sociale. Alcuni arrivano a non uscire più di casa, altri ad alterare il loro circolo circadiano (l’orologio biologico interno del corpo, ndr)».

Da sinistra, il generale Giuseppe Spina, Marcello Viola e Luca Villa

Bussole valoriali contro la dipendenza

«Hanno dipendenza dalla sostanza, dalla rete e dal gruppo, perché quasi tutti iniziano per essere come gli amici, con l’illusione dello “smetto quando voglio”. Bisogna lavorare sul cambiamento con il collocamento in comunità – che è la misura migliore -, per tirarli fuori dal bozzolo in cui si sono rinchiusi, per riaprirli alla socialità, ridando loro regole normali. Qui è fondamentale il ruolo dell’oratorio. Il problema dei nostri ragazzi è che non stanno in relazione con gli altri. Per questo anche i cosiddetti lavori socialmente utili devono stabilire una relazione: non pulire i giardini, ma aiutare anziani, accompagnare persone in difficoltà. Dal 2022 al 2024 ci sono stati 24 tentati omicidi, ma quando indaghiamo vediamo che non considerano il “nemico” una persona, ma una cosa: questo dice tutto».

La parola torna a Spina: «Negli ultimi anni, a Milano, non abbiamo mai sequestrato a minori armi da fuoco, ma vanno in giro con i coltelli. Se si trova un giovane con una pistola viene arrestato, ma con un coltello c’è una multa ed è libero, e lo hanno capito. Tuttavia, a Milano non si trovano facilmente armi da fuoco, come in altre città tipo Palermo, dove la diffusione è invece evidente. Però vi è un incremento di consumo di cocaina e di crack a livello nazionale, che sono sostanze diffusissime e che creano dipendenze letali, perché, per esempio, il crack causa effetti psicotropi molto veloci, ma che durano pochissimo e, quindi, se ne deve assumere sempre più spesso».

Il pubblico presente a Villa Reale

«Hanno bisogno di avere da noi bussole valoriali, perché quello che li disorienta è la nostra incoerenza di adulti: si dice sempre che i ragazzi non rispettano le regole, ma gli adulti lo fanno? Dobbiamo ricostruire patti educativi, a scuola, in famiglia e nelle agenzie educative, senza giudicarli. Occorre fare rete, perché i figli sono figli di tutti, rifondando un’idea di genitorialità diffusa», riflette ancora Elena Marta, evidenziando la grande responsabilità degli esempi negativi, magari assunti dai genitori, per quanto attiene alla pericolosissima ludopatia giovanile e minorile.

E che dire dei cellulari, se anche gli adulti non se possono staccare un minuto al giorno? «Il 60 % dei giovani dipendenti da devices non ha certezza nel futuro, e si mette in mano un device a un bimbo già a tre anni – osserva Villa -. Infatti le cose, in fatto di devianza da dipendenza in questo campo, cambiano nel 2010, quando si è iniziato a regalare ai figli minori lo smartphone. In 9 anni, dal 2010 al 2019, si è passati da 6 a 95 casi di minori maltrattanti i familiari, e quest’anno sono 106».

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L’intervento dell’Arcivescovo

«Questo incontro nasce dalla necessità di inquietare il territorio, perché anche noi preti dobbiamo individuare la gravità del problema delle dipendenze – che è epidemico, non isolato in un quartiere o una specifica categoria di famiglie, se riguarda l’80% di ragazzi – e sentirne la responsabilità», sottolinea in chiusura l’Arcivescovo «Se le relazioni sono impostate con avvedutezza, sono la forma di prevenzione più efficace. Non è vi è, certo, un rapporto di causalità tra la devianza dei ragazzi e quella dei genitori e adulti, ma il fatto è che gli adulti non sono contenti di esserlo e, allora, i giovani come fanno a pensare che sia bello diventarlo? Dobbiamo essere persone che sostanzialmente dimostrano di realizzare la propria vocazione. È un dovere che abbiamo, come realizzare una prassi reale per fare rete, creando il “villaggio” dove tutti siamo insieme per la cura del bene comune. La mia impressione è che la repressione sia inefficace, come pure lo sia l’informazione: è abbastanza consueto, infatti, che nelle scuole si faccia prevenzione e attività formativa sui danni da dipendenze, ma non serve».

L’Arcivescovo durante il suo intervento. Al suo fianco il generale Spina

La sapienza educativa

Il pensiero dell’Arcivescovo è anche per il carcere, specie minorile: «La repressione che consiste nella carcerazione mi pare un percorso fallimentare, perché in molti casi rende peggiori le persone, venendo meno al suo compito. Bisogna riflettere in profondità sul sistema, perché la repressione non risulta adeguata a fare quello che la Costituzione prevede nel restituire un inserimento alle persone nella società»

Infine, «un’ultima cosa, la più importante: dobbiamo essere vigili perché il problema è in casa per così dire – secondo l’Arcivescovo -. La responsabilità che abbiamo verso i minori e i giovani è, certo, quella di non creare condizioni di ansia da prestazione, per cui si cercano palliativi al sentirsi inadeguati; ma la sapienza vera è dare buone ragioni per non dipendere, non solo perché fa male o perché arriva la punizione. Vale la pena di vivere bene e di fare del bene, in rapporto con gli altri, dove l’amicizia non è la complicità: questo dobbiamo dire e testimoniare. La sapienza educativa dell’oratorio è questa».