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Fine delle lezioni

Scuola, il taglio non basta

Per uscire da una crisi non solo economica

di Alberto CAMPOLEONI Redazione

8 Giugno 2010

Siamo nell’ultima settimana di scuola, in attesa che cali il sipario – salvo l’appendice degli esami – su un altro anno difficile e che si chiude, una volta di più, con l’ennesima polemica sui tagli, sulle insufficienti risorse economiche.
Fortunatamente la scuola “in classe” vive di ritmi ed esperienze diversi da quelli della scuola sui giornali e nei palazzi. E questo ha senz’altro reso possibile anche quest’anno quella intensa ricchezza di relazioni e di esperienze che sostanzia la vita scolastica e i processi di crescita di tantissimi nostri bambini e bambine, ragazzi e ragazze. Una ricchezza alimentata dalla passione educativa e dalla professionalità della gran parte di quanti operano nel mondo scolastico, in silenzio, fuori dal cono dei riflettori. Non di rado accettando sacrifici personali anche significativi. Una ricchezza che continua a farci guardare alla scuola e ai suoi meccanismi con fiducia. Pur consapevoli che il continuo processo di erosione di risorse e di reale attenzione alle esigenze della scuola non può che peggiorare ogni anno la situazione.
Sarà provocatorio, ma il caso del preside di Putignano che chiede soldi alle famiglie per pagare le indennità dei commissari di maturità non può lasciare indifferenti. Un preside che fa politica? Forse. Ma in quanti casi, meno eclatanti, i genitori sono chiamati a sostenere spese per la dotazione scolastica: dalle materne alle superiori? Ha voglia il ministero ad arrabbiarsi, ma il meccanismo dei crediti vantati dall’amministrazione centrale non è mica limitato alla Puglia. E sono solo cenni.
Fa poi impressione leggere i risultati dell’analisi di “Tuttoscuola” sulla manovra finanziaria e sulle conseguenze sugli stipendi del personale del comparto. L’attentissimo e qualificato osservatorio parla di «profonda iniquità» e poi riassume così: «Una sorta di regola di Robin Hood rovesciata: togliere di più a chi ha di meno (insegnanti e personale Ata: tra 11 e 15% di minori entrate rispetto a quelle contrattualmente definite per il prossimo triennio per circa metà del personale), salvaguardando nella sostanza chi ha di più, dai dirigenti dell’amministrazione (meno 2,5% in media) ai direttori generali e ai sottosegretari (meno 6%)».
Vogliamo aggiungere a questo quadro desolante le ultime dichiarazione del ministro Calderoli sui premi alla Nazionale di calcio e sui tagli da operare in quel mondo di lusso? Si potrebbe anche concordare, se non fosse che il richiamo viene da una classe politica che alla parola tagli su se stessa è profondamente allergica. Se ne discute sui giornali, ad esempio, proprio in questi giorni di manovra, il tema è così chiaro e noto a tutti che non vale nemmeno la pena di fare esempi. L’uscita di Calderoli pare più che altro un’entrata da cartellino giallo e sotto i riflettori, una volta di più, mette le contraddizioni di un Paese ricco di “caste”.
L’Italia attraversa un momento davvero difficile. Dal punto di vista economico, certo, ma forse anche per quanto riguarda lo stesso patto sociale che lega le persone. Una crisi che non sfugge a chi, come la Chiesa, parla da tempo di emergenza educativa, della necessità di un nuovo “innamoramento” dell’essere italiani. Da questa crisi non si esce con la demagogia, ma con una politica – e con politici – responsabile, che riscopra non solo a parole un’esigenza etica di giustizia, che sappia dare anche esempi virtuosi. Si esce, certo, anche con manovre finanziarie necessarie ed oculate, ma eque. E che in particolare, per quanto riguarda la scuola, ricordino che è questo un terreno fecondo per costruire il futuro. Tagliare gli sprechi, certo. Limare le spese. Ma serve un’ottica di sviluppo che ormai da tempo proprio non si vede. Siamo nell’ultima settimana di scuola, in attesa che cali il sipario – salvo l’appendice degli esami – su un altro anno difficile e che si chiude, una volta di più, con l’ennesima polemica sui tagli, sulle insufficienti risorse economiche.Fortunatamente la scuola “in classe” vive di ritmi ed esperienze diversi da quelli della scuola sui giornali e nei palazzi. E questo ha senz’altro reso possibile anche quest’anno quella intensa ricchezza di relazioni e di esperienze che sostanzia la vita scolastica e i processi di crescita di tantissimi nostri bambini e bambine, ragazzi e ragazze. Una ricchezza alimentata dalla passione educativa e dalla professionalità della gran parte di quanti operano nel mondo scolastico, in silenzio, fuori dal cono dei riflettori. Non di rado accettando sacrifici personali anche significativi. Una ricchezza che continua a farci guardare alla scuola e ai suoi meccanismi con fiducia. Pur consapevoli che il continuo processo di erosione di risorse e di reale attenzione alle esigenze della scuola non può che peggiorare ogni anno la situazione.Sarà provocatorio, ma il caso del preside di Putignano che chiede soldi alle famiglie per pagare le indennità dei commissari di maturità non può lasciare indifferenti. Un preside che fa politica? Forse. Ma in quanti casi, meno eclatanti, i genitori sono chiamati a sostenere spese per la dotazione scolastica: dalle materne alle superiori? Ha voglia il ministero ad arrabbiarsi, ma il meccanismo dei crediti vantati dall’amministrazione centrale non è mica limitato alla Puglia. E sono solo cenni.Fa poi impressione leggere i risultati dell’analisi di “Tuttoscuola” sulla manovra finanziaria e sulle conseguenze sugli stipendi del personale del comparto. L’attentissimo e qualificato osservatorio parla di «profonda iniquità» e poi riassume così: «Una sorta di regola di Robin Hood rovesciata: togliere di più a chi ha di meno (insegnanti e personale Ata: tra 11 e 15% di minori entrate rispetto a quelle contrattualmente definite per il prossimo triennio per circa metà del personale), salvaguardando nella sostanza chi ha di più, dai dirigenti dell’amministrazione (meno 2,5% in media) ai direttori generali e ai sottosegretari (meno 6%)».Vogliamo aggiungere a questo quadro desolante le ultime dichiarazione del ministro Calderoli sui premi alla Nazionale di calcio e sui tagli da operare in quel mondo di lusso? Si potrebbe anche concordare, se non fosse che il richiamo viene da una classe politica che alla parola tagli su se stessa è profondamente allergica. Se ne discute sui giornali, ad esempio, proprio in questi giorni di manovra, il tema è così chiaro e noto a tutti che non vale nemmeno la pena di fare esempi. L’uscita di Calderoli pare più che altro un’entrata da cartellino giallo e sotto i riflettori, una volta di più, mette le contraddizioni di un Paese ricco di “caste”.L’Italia attraversa un momento davvero difficile. Dal punto di vista economico, certo, ma forse anche per quanto riguarda lo stesso patto sociale che lega le persone. Una crisi che non sfugge a chi, come la Chiesa, parla da tempo di emergenza educativa, della necessità di un nuovo “innamoramento” dell’essere italiani. Da questa crisi non si esce con la demagogia, ma con una politica – e con politici – responsabile, che riscopra non solo a parole un’esigenza etica di giustizia, che sappia dare anche esempi virtuosi. Si esce, certo, anche con manovre finanziarie necessarie ed oculate, ma eque. E che in particolare, per quanto riguarda la scuola, ricordino che è questo un terreno fecondo per costruire il futuro. Tagliare gli sprechi, certo. Limare le spese. Ma serve un’ottica di sviluppo che ormai da tempo proprio non si vede.