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Famiglia e lavoro

Quattro giorni per i papà?

Un'iniziativa che risponde a più esigenze

di Andrea CASAVECCHIA Redazione

25 Giugno 2010

Nel Parlamento italiano si sta aprendo la strada una proposta di legge bipartisan che punta a rendere obbligatorio per i nuovi papà un congedo dal lavoro di quattro giorni, mantenendo la stessa retribuzione.
Sicuramente chiedere agli uomini di rimanere quattro giorni a casa ad aiutare le loro compagne durante il momento iniziale della maternità è una goccia nel mare della redistribuzione dei carichi di cura tra i generi che nel nostro Paese sono ancora gestiti in maniera costante e continuativa dalle donne, come dimostrano sistematicamente le rilevazioni Istat sulla distribuzione dei tempi di vita.
Allo stesso tempo, attraverso questa piccola goccia, si potrebbe lanciare un segnale importante che aiuti a mettere in luce in primo luogo l’importanza non solo del sostegno affettivo ed emotivo maschile nei confronti della sua partner in un momento delicato della sua vita, ma anche la possibilità di prendersi carico di compiti domestici che altrimenti proprio in quei primi giorni ricadrebbero sulla mamma.
In secondo luogo, quattro giorni di “paternità” getterebbero un granello di sabbia nel meccanismo culturale che vede nell’uomo il “vero” lavoratore in famiglia. Uno stereotipo del mondo del lavoro che finisce per imprigionare anche i ruoli maschili, come si verifica quando un uomo oggi chiede il congedo parentale, rinunciando al 70% della sua retribuzione, per rimanere a casa per un massimo di 5 mesi nei primi tre anni del figlio. Quel lavoratore che vuole essere anche un padre corresponsabile degli impegni famigliari è visto come un assenteista che si gode un periodo di vacanza in più. Quel meccanismo, di cui quello appena descritto è soltanto un piccolo effetto, finisce poi per schiacciare la divisione dei compiti all’interno della famiglia, dove diventa automatico che siano le donne a sacrificare la loro carriera professionale.
Quattro giorni, allora, non cambieranno molto i carichi familiari, né contribuiranno a ripartire in modo più equo le possibilità nel mercato del lavoro. Saranno, però, uno spiraglio se apriranno la strada a una politica più ampia di conciliazione tra famiglia e lavoro, nella quale i due ambiti personali non siano considerati in competizione l’uno con l’altro.
In futuro, per favorire la genitorialità, sarebbe opportuno favorire proposte che innalzino il contributo economico dei congedi parentali in modo da promuovere un maggior impegno dei padri nella cura dei figli. Questa iniziativa in Italia potrebbe risultare estremamente efficace in quanto risponderebbe a più esigenze: in primo luogo la sua fruizione sarebbe economicamente meno gravosa per le famiglie, perché richiedendo il congedo rinuncerebbero a una parte inferiore di reddito rispetto a quanto rinunciano ora. Di conseguenza, e in secondo luogo, l’aumento sarebbe, indirettamente, un incoraggiamento a usufruire di questa possibilità ai padri, che percepiscono in Italia un reddito da lavoro maggiore rispetto alle loro mogli.
Occuparsi di politiche per la genitorialità non interessa solo la questione delle pari opportunità. Misurandosi con le esigenze dei nuclei familiari, il lavoro farebbe alcuni passi verso la strada della sua umanizzazione perché dovrebbe essere capace di rispettare i tempi della vita e i ritmi quotidiani delle persone. Nel Parlamento italiano si sta aprendo la strada una proposta di legge bipartisan che punta a rendere obbligatorio per i nuovi papà un congedo dal lavoro di quattro giorni, mantenendo la stessa retribuzione.Sicuramente chiedere agli uomini di rimanere quattro giorni a casa ad aiutare le loro compagne durante il momento iniziale della maternità è una goccia nel mare della redistribuzione dei carichi di cura tra i generi che nel nostro Paese sono ancora gestiti in maniera costante e continuativa dalle donne, come dimostrano sistematicamente le rilevazioni Istat sulla distribuzione dei tempi di vita.Allo stesso tempo, attraverso questa piccola goccia, si potrebbe lanciare un segnale importante che aiuti a mettere in luce in primo luogo l’importanza non solo del sostegno affettivo ed emotivo maschile nei confronti della sua partner in un momento delicato della sua vita, ma anche la possibilità di prendersi carico di compiti domestici che altrimenti proprio in quei primi giorni ricadrebbero sulla mamma.In secondo luogo, quattro giorni di “paternità” getterebbero un granello di sabbia nel meccanismo culturale che vede nell’uomo il “vero” lavoratore in famiglia. Uno stereotipo del mondo del lavoro che finisce per imprigionare anche i ruoli maschili, come si verifica quando un uomo oggi chiede il congedo parentale, rinunciando al 70% della sua retribuzione, per rimanere a casa per un massimo di 5 mesi nei primi tre anni del figlio. Quel lavoratore che vuole essere anche un padre corresponsabile degli impegni famigliari è visto come un assenteista che si gode un periodo di vacanza in più. Quel meccanismo, di cui quello appena descritto è soltanto un piccolo effetto, finisce poi per schiacciare la divisione dei compiti all’interno della famiglia, dove diventa automatico che siano le donne a sacrificare la loro carriera professionale.Quattro giorni, allora, non cambieranno molto i carichi familiari, né contribuiranno a ripartire in modo più equo le possibilità nel mercato del lavoro. Saranno, però, uno spiraglio se apriranno la strada a una politica più ampia di conciliazione tra famiglia e lavoro, nella quale i due ambiti personali non siano considerati in competizione l’uno con l’altro.In futuro, per favorire la genitorialità, sarebbe opportuno favorire proposte che innalzino il contributo economico dei congedi parentali in modo da promuovere un maggior impegno dei padri nella cura dei figli. Questa iniziativa in Italia potrebbe risultare estremamente efficace in quanto risponderebbe a più esigenze: in primo luogo la sua fruizione sarebbe economicamente meno gravosa per le famiglie, perché richiedendo il congedo rinuncerebbero a una parte inferiore di reddito rispetto a quanto rinunciano ora. Di conseguenza, e in secondo luogo, l’aumento sarebbe, indirettamente, un incoraggiamento a usufruire di questa possibilità ai padri, che percepiscono in Italia un reddito da lavoro maggiore rispetto alle loro mogli.Occuparsi di politiche per la genitorialità non interessa solo la questione delle pari opportunità. Misurandosi con le esigenze dei nuclei familiari, il lavoro farebbe alcuni passi verso la strada della sua umanizzazione perché dovrebbe essere capace di rispettare i tempi della vita e i ritmi quotidiani delle persone.