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Spese superflue in tempo di crisi

In un momento di difficoltà economica calano i consumi di pane e latte, ma cresce l'acquisto di Tv al plasma e telefonini. Cosa ci fa agire così?

28 Luglio 2008

31/07/2008

di Stefania PERDUCA
Psicoterapeuta, docente Scienze della comunicazione
Università S. Raffaele

«Devo comprare solo pane e latte» e mi ritrovo a uscire dal supermarket col carrello pieno. Cosa succede nel frattempo? Tutti dicono che bisogna risparmiare, che siamo in un momento di crisi, eppure continuiamo a fare la spesa al super, a “tuffarci” nei saldi e a prenotare vacanze.

Per molti anni il marketing ha cercato di spiegare il comportamento dei consumatori con la logica razionale: ciascuno di noi sarebbe in grado di valutare le caratteristiche del prodotto, soppesarne pregi e difetti, compararlo con altri, collocarlo nelle spese più o meno previste e in seguito deciderne l’acquisto.

Ultimamente invece le ricerche propongono una visione più complessa dell’uomo che acquista, nella quale la razionalità si fonde con i processi affettivi, il contesto sociale e culturale influenza il senso che attribuiamo agli acquisti, le emozioni e le motivazioni conducono a differenti percezioni della realtà.

L’essere umano ha la capacità di decidere sia secondo un sistema chiamato “centrale”, che prevede diversi passaggi logici dalla ricognizione del problema, alla valutazione delle alternative e alla scelta finale; sia secondo un sistema “periferico”: in questo caso il processo di scelta è più rapido e si raggiunge in base a scorciatoie di ragionamento (esempio, «più costa più è di qualità»), basandosi su abitudini, stereotipi e attese nei confronti della realtà.

I due sistemi possono coesistere e prevalere l’uno sull’altro a seconda dei momenti: magari valuto tutte le alternative nell’acquisto del cellulare, comparo i prezzi e i vantaggi funzionali, ma alla fine se sono indeciso propendo per la marca che ritengo più valida. Ma anche nella valutazione delle alternative, il processo può essere determinato dalle mie aspettative nei confronti del prodotto che acquisto e dal significato che ha per me possederlo.

Infatti la complessità del problema risiede proprio in questo: i prodotti, i servizi che acquistiamo non si collocano solo su un piano funzionale, ma simbolico; rispondono a bisogni psicologici fornendo un’occasione di espressione del sé, di identificazione. E le nostre scelte possono essere comprese, più che spiegate, con un intreccio di fattori personali, contestuali e culturali.

Proviamo a dire a una persona di due generazioni precedenti: «Compro un vestito nuovo perché mi sento giù». Probabilmente non capirebbe e direbbe: «Compro un vestito nuovo perché si è rotto quello vecchio». Oggi invece ci sembra ovvio utilizzare gli acquisti come regolatori delle nostre emozioni.

Per comprendere il ruolo del contesto, pensiamo per esempio agli acquisti impulsivi, non programmati. Oggi la maggior parte degli acquisti impulsivi sono considerati nella normalità proprio perché l’invito all’acquisto e alla soddisfazione immediata dei bisogni sono costanti nella nostra società.

Tra i possibili utilizzi del nostro tempo libero esiste la categoria “fare shopping” e “andare al centro commerciale”. Disponiamo del denaro in molte forme, dai contanti alla carta di credito, e del credito al consumo; possiamo acquistare quasi tutto dappertutto, con una gamma di prodotti elevatissima e con orari di apertura estesi; possiamo anticipare il piacere dell’acquisto vedendolo in pubblicità o effettuarlo stando seduti alla scrivania, grazie a internet.

Ècambiato il modo di acquistare, ma è cambiata anche la nostra relazione con l’atto di acquistare. L’acquisto, da atto necessario a soddisfare un bisogno (esempio: «Non posso andare sempre a piedi, ho bisogno un’auto»), è diventato esperienza – prolungata nel tempo e nello spazio – di espressione di se stessi. Gli oggetti – non tutti naturalmente – vengono acquistati non perché sono necessari, ma perché sono desiderati («ho propria voglia di…»); il desiderio è una dimensione profondamente umana che ha a che fare con aspetti affettivi e di relazione.

Abbiamo un legame con i prodotti, una relazione, riconosciamo loro una personalità e un modo di essere. Questo tipo di rapporto con gli oggetti allontana la dimensione di calcolo razionale e apre la strada all’immaginazione («chissà come starò bene con quell’abito»), allo sperimentare nuove identità («cosa diranno di me quando vedranno l’orologio nuovo?»), al sogno di un nuovo benessere.

Come possiamo fare per agire diversamente? Saperne di più aiuta, ci rende consapevoli del nostro modo di funzionare. Un’altra strada è quella di porsi qualche controllo esterno. Nulla di nuovo, ma molte ricerche sostengono che la possibilità di autoregolarsi sia determinata anche da fonti esterne. Se in famiglia dobbiamo giustificare le spese a vicenda, se abbiamo stabilito un budget, sapremo che ogni volta dovremo confrontarci con esso.

È molto facile non avere limiti mentre si acquista, pertanto risulta utile fissare riferimenti a priori coi quali verificarsi. In questo modo possiamo anche monitorare se la nostra capacità di controllo sta venendo meno e se stiamo scivolando verso qualche forma di dipendenza dagli acquisti: giunte a questo punto le persone non sono in grado di fermarsi neanche a fronte del conto in rosso o della carta di credito bloccata.

Èutile anche pensare a esperienze alternative al consumo: «Faccio un giro al centro commerciale», può essere sostituito da altre esperienze che non solo mi tengono lontane dallo stimolo all’acquisto, ma anche mi invitano a scoprire nuove modalità di rispondere ai bisogni psicologici.