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Economia, più Stato e più mercato

Una ricetta apparentemente contradditoria. Ma i nodi-Alitalia, Borse e salari dimostrano che non è così

5 Giugno 2008

19/03/2008

di Nico CURCI

«Più Stato e più mercato». Questo è lo slogan che ci sentiremmo di suggerire ai candidati premier per le prossime elezioni politiche. Per oltre cinquant’anni i teorici del liberismo economico hanno gridato «Più mercato!» per sostenere la crescita; dall’altro lato, i fautori dell’interventismo pubblico si sono appellati a «Più Stato!» per chiedere più uguaglianza sociale. Quindi «Più Stato e più mercato» può apparire un ossimoro.

Ma le vicende economiche di questi giorni ci dicono che ciò non è più vero. Ènecessaria invece una profonda azione riformatrice che deve creare quanta più efficienza possibile sui mercati, garantita però da istituzioni politiche e di controllo molto forti, capaci quindi di imputare i costi dello sviluppo a chi può sopportarli.

Partiamo dalla vicenda Alitalia e dall’offerta di Air France-Klm per il controllo della nostra società di bandiera. Il gruppo franco-olandese valuta la compagnia a un prezzo molto basso, ma in cambio si impegna a un massiccio piano di investimenti per rilanciarla e riportarla all’utile entro il 2010. Una serie piuttosto lunga di “clausole di efficacia” mirano poi a escludere ogni condizionamento politico dalla futura gestione di Alitalia.

In questo caso il nostro ossimoro si applica benissimo. Èinfatti auspicabile che Alitalia esca fuori dalla logica del controllo politico, che l’ha rovinata, per affrontare i rischi della competizione in una logica di mercato. Questo non vuol dire però che il ruolo del pubblico si esaurisca: lo Stato infatti deve controllare che un servizio pubblico sia garantito ai cittadini e alle imprese italiane. Il mercato metterebbe le cose a posto, se affiancato da uno Stato forte, capace di mettere a tacere i troppi interessi che ruotano intorno ad Alitalia.

Un altro esempio interessante è dato dalla pesante crisi dei mercati globali, dove un micidiale mix di dollaro debole, petrolio alle stelle, crolli azionari e fallimenti bancari mette a repentaglio la tenuta complessiva del sistema finanziario. In questo caso gli eccessi di mercato si sono dimostrati deleteri. L’innesco della crisi si è avuto con la scoperta che gli attivi bancari erano gonfiati dalla presenza di crediti rischiosissimi, e che quindi si stava nascondendo la verità agli investitori. Non c’è nulla nel mercato che possa garantire la trasparenza. Solo uno Stato forte può dotarsi di un ordinamento legislativo capace di garantirla per far sì che il mercato funzioni al meglio.

Infine, l’annosa questione dei bassi salari italiani. I salari netti in Italia sono bassi rispetto ad altri Paesi europei, sia perché i salari lordi sono più bassi, sia perché il cuneo fiscale è più alto. Intervenire solo sul cuneo fiscale, come promettono di fare i nostri politici, èassolutamente insufficiente. Anche qualora le tasse sul lavoro venissero tagliate pesantemente, il beneficio medio sul salario mensile dei lavoratori non potrebbe essere che di pochissime decine di euro. Quindi in questo ambito lo Stato, intervendo con metodi tradizionali, può fare molto poco.

Bisogna invece far sì che Stato e mercato cooperino per ridare slancio ai salari lordi, cioè a quanto le imprese pagano per i loro lavoratori. Innanzitutto lo Stato deve agire per accrescere la produttività del lavoro in Italia: maggiori investimenti nell’istruzione e nella ricerca scientifica, oltre che nelle infrastrutture materiali, incrementerebbero la competitività delle imprese italiane, che potrebbero quindi distribuire ai lavoratori gli incrementi di valore aggiunto attraverso salari più alti.

Ma perché questo secondo passaggio avvenga ènecessario che il merito diventi il criterio di distribuzione delle risorse a tutti i livelli: dalle risorse per le scuole e l’Università a quelle per la ricerca privata, fino alle risorse per la produttività del lavoro che la Pubblica amministrazione e le imprese pagano ai lavoratori. In questo modo il mercato, pagando a ciascuno quanto effettivamente merita, garantirebbe l’efficienza necessaria per avviare di nuovo un ciclo di sviluppo nel nostro Paese.