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Civitanova Marche

Albanesi: «Un omicidio prodotto da una rabbia ancestrale»

Il presidente della Comunità di Capodarco sul nigeriano aggredito a morte: «Trattato peggio di un animale. Fino a che lo straniero è funzionale ai nostri interessi, bene; quando esce da questo recinto, ecco subito scatenarsi un accanimento violento contro chi potrebbe sottrarci qualcosa»

di Agensir

1 Agosto 2022
Foto Ansa / Sir

«L’uomo che è stato ucciso era uno straniero di colore, chiedeva l’elemosina ed era disabile. Una persona, azzardo a dire, che agli occhi di un certo mondo, probabilmente non aveva i requisiti del rispetto e della dignità. E l’uomo che lo ha ucciso forse si è sentito in obbligo, in dovere non so, di punirlo, fino a ucciderlo. Una cosa bestiale». È il commento di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, su quanto a Civitanova Marche dove Alika Ogorchukwu, cittadino nigeriano di 39 anni, è stato preso a bastonate fino alla morte da un italiano di 32 anni originario di Salerno, reo, sembra, di aver fatto apprezzamenti su una donna.

«Il 39enne nigeriano è stato trattato peggio di un animale e questo naturalmente la dice lunga sulla mancanza di umanità. Al di là di quanto che è successo, infatti, sentirsi autorizzati a colpire fino a uccidere, da una parte mette in luce la presenza, in alcune persone, di una rabbia ancestrale, una forma primitiva incontrollabile, dall’altra rende evidente un’assoluta mancanza di relazione con chi è diverso da noi. Probabilmente questo signore, tenendo conto di tutte queste componenti, alla fine si è sentito libero di ammazzarlo».

Certo non è facile a volte intervenire in situazioni di questo tipo, ma come commentare i cittadini che, forse presi dalla paura, si sentono più registi con i loro telefonini, che responsabili e parte viva di quanto sta accedendo?
La nostra società ha concentrato su di sé il proprio interesse e la propria attenzione e quindi il pensiero del «chi me lo fa fare» è divenuto ancora più forte, più pressante. È l’esplosione dell’io che preferisce rimanere spettatore di qualcosa, salvo però quando gli eventi ci toccano personalmente. In quel caso la musica cambia, ci si lamenta dell’indifferenza e del perché nessuno sia intervenuto. Aprire il telefonino e riprendere un fatto, nel bene e nel male, fa perdere il contenuto del fatto stesso e tutte le sue ricadute. Voglio dire che attraverso la ripresa del telefono si ripete questa supremazia di sé, che si incarna nella ripresa in diretta, nell’essere in possesso dell’immagine, e allora non sono più un semplice testimone ma il protagonista, almeno nel web, di quanto accaduto. E tutto questo altro non è che una ricerca di se stessi.

L’Italia in genere, è sempre stata terra accogliente. Oggi sembra che la paura abbia preso il sopravvento e alla mancanza di accoglienza si unisce il rifiuto di conoscere l’altro, in questo caso il migrante…
Bisogna essere attenti… Lo straniero, fino a che raccoglie pomodori, magari in condizioni disumane, o accudisce i nostri vecchi, non genera problemi. Più vado avanti e più mi sembra di assistere a una sorta di “aggressività interessata”. In altre parole, fino a che lo straniero è funzionale ai nostri interessi, bene; quando esce da questo recinto, ecco subito scatenarsi un accanimento violento contro chi potrebbe sottrarci qualcosa. Voglio dire che se prima c’era la paura a guidare i sentimenti, ora c’è solo l’interesse: se l’immigrato risponde e bene alle mie richieste le cose filano, in caso contrario è tutto da rivedere. Ripeto, mi sembra si stia seguendo questa direttiva: essere funzionale al nostro interesse.