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Seveso

San Pietro da Verona e il suo assassino Carino da Balsamo, diventato beato

Una storia straordinaria che si ricorda nel Calendimaggio, con l’imposizione del falcastro, cioè l’arma con cui, secondo la tradizione, è stato ucciso il frate domenicano. Una storia di conversione perché il sicario, pentito, trascorse il resto della sua vita proprio in un convento domenicano, morendo in fama di santità. Lunedì 5 maggio la Messa solenne con l'Arcivescovo Delpini, che ricorda il suo 50° di ordinazione sacerdotale

di Luca FRIGERIO

30 Aprile 2025

Questa è la storia di due uomini che si chiamavano Pietro: un santo e un beato, entrambi sepolti con l’abito dei frati domenicani tra la venerazione generale: l’uno assassino dell’altro. Sembra la trama di un romanzo, e invece è tutto vero: fatti che ebbero il loro culmine il 6 aprile 1252, quando frate Pietro da Verona venne ucciso con una roncola da Pietro da Balsamo, in un bosco a Barlassina.

Sul luogo di quel martirio fu subito eretta una cappella, che divenne poi chiesa e parrocchia, con accanto un ospizio per i pellegrini che nei secoli si trasformò in seminario diocesano. E che oggi è sede del Centro pastorale ambrosiano di Seveso, che agli inizi di maggio, insieme all’intera comunità del territorio, vive ogni anno l’evento del «Calendimaggio», con intense giornate di preghiera, di festa, di iniziative culturali. E, soprattutto, con l’attesa imposizione simbolica del «falcastro», l’arma che, come vuole la tradizione, colpì a morte san Pietro Martire e che ancora oggi è custodita proprio nel santuario che ne porta il nome.

Domenica, alle 10.30, sarà l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a presiedere la Messa solenne, ricordando il suo 50° di ordinazione sacerdotale.

San Pietro Martire era nato a Verona attorno al 1200, da famiglia agiata, vicina, si diceva, ai gruppi eretici. Mentre era a Bologna a studiare, Pietro conobbe san Domenico, entrando a far parte del nuovo ordine dei frati predicatori. Lui stesso, infatti, dimostrò fin da giovane eccezionali doti di predicatore, venendo così inviato in diverse città d’Italia per contrastare le posizioni ereticali.

Nel 1250, ormai notissimo, gli fu affidata la guida del convento domenicano di Como e il ruolo di inquisitore generale presso quello di Sant’Eustorgio a Milano. Il movimento cataro, vedendo in fra Pietro un temibile oppositore, decise di eliminarlo assoldando un sicario: Pietro da Balsamo, appunto.

La domenica in Albis del 1252, costui tese un agguato al frate mentre da Como si dirigeva a Milano: il domenicano spirò sotto i colpi dell’assassino, dopo aver scritto la parola «Credo» col suo stesso sangue. Il suo corpo venne deposto in Sant’Eustorgio, tumulato poi nel magnifico sepolcro scolpito nel 1340 da Giovanni di Balduccio, che oggi possiamo ammirare nella mirabile Cappella Portinari.

E Pietro da Balsamo? L’omicida riuscì a fuggire. Ma giunto a Forlì, in preda ai sensi di colpa, si pentì del suo gesto e chiese perdono ai frati domenicani stessi, che lo accolsero nel loro convento, dove visse con il nome di Carino per altri quarant’anni, in penitenza, umiltà e preghiera. Tanto da essere considerato santo anche lui: una beatificazione per volontà popolare, poi ratificata dalla Chiesa due secoli fa.

Oggi Carino è tornato nel suo paese d’origine: perché le sue spoglie riposano proprio a Balsamo, nella nuova chiesa di San Martino. Dove, pochi giorni prima del Calendimaggio di Seveso, il 28 aprile, si festeggia la conversione di un assassino, quasi un «novello san Paolo». Secondo le misteriose vie della misericordia divina.

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