Una storia che è iniziata seicento anni fa. Che è stata ripresa nel secolo scorso. E che oggi continua, con nuove scoperte e tante iniziative. Stiamo parlando di Castiglione Olona, dove proseguono le celebrazioni per il sesto centenario della fondazione della sua straordinaria Collegiata, prima tappa di quel visionario progetto del cardinale Branda Castiglioni per la realizzazione della sua città ideale rinascimentale.
Siamo in quella che, secondo la celebre definizione di Gabriele D’Annunzio, è «l’isola di Toscana in Lombardia». E la ragione di questa nomea è nota: a Castiglione Olona, infatti, il cardinal Branda chiamò a lavorare alcuni dei più importanti pittori toscani del Quattrocento, come Masolino da Panicale e il Vecchietta, i cui dipinti ancor oggi campeggiano nella Collegiata, nel Battistero e nel Palazzo del nobile prelato.
Ebbene, uno dei pezzi più pregiati oggi presenti a Castiglione Olona è una «Crocifissione» attribuita a Neri di Bicci, cioè a un altro protagonista della scena artistica fiorentina della metà del XV secolo. Ma, a differenza di quel che si potrebbe pensare, Neri non fu invitato in terra lombarda dal cardinal Branda, ma la sua splendida tavola vi arrivò molto più tardi. Nel 1928, per l’esattezza, e per volontà di uno dei maggiori storici dell’arte italiani: Mario Salmi.
Proprio a Salmi, infatti, che in quegli anni era ispettore delle Belle arti a Brera, era stato affidato l’incarico di seguire il restauro del complesso della Collegiata di Castiglione: e fu lui, in qualche modo, a far conoscere e a «rilanciare», anche oltre la cerchia degli studiosi, questo eccezionale sito monumentale della provincia varesina.
Ferita da saccheggi e incendi, la Collegiata presentava all’epoca una vistosa «lacuna» nella parte absidale, che lo studioso di San Giovanni Valdarno volle appunto «colmare» con la strepitosa «Crocifissione» di Neri di Bicci, fatta arrivare direttamente dalle Gallerie fiorentine. Anche perché, all’epoca, si riteneva che anche Neri avrebbe potuto far parte della squadra di artisti toscani attivi a Castiglione, al servizio del cardinal Branda.
Gli studi più recenti, tuttavia, hanno escluso una sua presenza nel varesotto. Così si è preferito togliere la tavola di Neri di Bicci dalla Collegiata per esporla nel suo Museo, dove comunque testimonia il clima culturale e artistico in cui sono maturate le scelte progettuali del cardinal Branda.
E oggi, attorno a quella «Crocifissione», i visitatori fino al prossimo 23 luglio possono vedere esposti altri due dipinti, anch’essi attribuiti a Neri di Bicci: un san Domenico e un san Giovanni Gualberto, due tavole prestate dalla Galleria Altomani di Milano, dopo essere state presentate all’ultimo Tefaf di Maastricht, la fiera mondiale di arte e antiquariato.
Una piccola mostra, insomma, che mettendo in dialogo le tre opere, rivela l’evoluzione dello stile del pittore toscano: «Dalle fisionomie corrucciate delle figure degli esordi – come osserva la curatrice dell’esposizione, Laura Marazzi – a quelle raddolcite della fase più matura, con maggior resa plastica delle forme e sempre grande perizia nelle decorazioni preziose» (per informazioni: www.museocollegiata.it).
Figlio d’arte, erede di una fiorente bottega avviata dal nonno Lorenzo, Neri – nato a Firenze attorno al 1420 e lì morto nel 1492 – ebbe l’onore di vedere i suoi dipinti collocati in alcuni luoghi-simbolo del capoluogo toscano, dal Duomo all’Annunziata, da Ognissanti a Palazzo Vecchio. A lui, infatti, si rivolgeva quella committenza di alto lignaggio rassicurata dalla sua fedeltà alla tradizione (interpretata con toni eleganti), ma che allo stesso tempo apprezzava la sua apertura alle novità introdotte da artisti come Beato Angelico, Filippo Lippi o Andrea del Castagno. Neri fu pittore, ma non disdegnò di cimentarsi anche come architetto, lavorando poi a stretto contatto con scultori e artigiani tessili: un’attività intensa e prolifica testimoniata dalle sue Ricordanze, una sorta di diario-registro giunto fino a noi e utilissimo per conoscere l’attività di un laboratorio artistico a Firenze nella seconda metà del XV secolo.
Di questa produzione, la «Crocifissione» di Castiglione Olona, databile attorno al 1460, rappresenta uno dei vertici di Neri di Bicci. Dove lo sguardo si perde in una miriade di dettagli gustosi e densi di significati: i vessilli con l’acronimo «Spqr» e lo scorpione; i miliziani africani e quelli con i turbanti; i cavalli imbizzarriti, degni di un Francesco Messina; il dolore straziante delle Pie Donne sotto la Croce; gli sguardi feroci dei carnefici e quello ammirato del Centurione… Così che è bello, avere un nuovo pretesto per tornare ancora una volta a Castiglione Olona, tra le mura della Collegiata.