E che cosa hanno visto coloro che sono partiti, pellegrini di speranza?
Hanno visto il Papa, certo. Hanno visto e salutato e pregato per papa Francesco negli ultimi mesi della sua vita, negli ultimi eroismi del suo ministero. E hanno pregato nel momento commovente del suo funerale.
Hanno visto il Papa, certo. Hanno visto e salutato e pregato con papa Leone XIV e hanno esplorato nelle sue parole e nei suoi gesti i tratti che rivelano che cosa Dio vuole dire alla Chiesa e al mondo con il suo ministero.
Hanno scoperto e visitato le chiese giubilari della Diocesi, certo. Hanno visto i segni della devozione antica e della fede dei padri, resi opachi dal tempo, restituiti allo splendore e alla commozione di essere messaggi che possono parlare alla vita e al pensiero.
Ma quello che ha soprattutto segnato i pellegrini di speranza è l’esperienza di aver visto la Chiesa. La Chiesa dalle genti, le folle multicolori che dicono la loro fede in ogni lingua del pianeta, che portano bandiere di fierezza e di lacrime. Hanno visto la Chiesa che apre le porte per dire: venite, siete attesi; venite, siete perdonati; venite, siete fratelli e sorelle! Hanno visto la Chiesa che prega e cammina, di giorno e di notte.
Hanno visto la Chiesa e gli uomini di Chiesa a servizio della parola della speranza, della parola del perdono. Hanno visto i loro preti dedicati alla riconciliazione dei penitenti nella confessione dei peccati. Hanno visto la Chiesa che si fa carico delle colpe e delle pene delle vite sbagliate, per liberare dal peso i peccatori e rinnovare la gioia della libertà e assicurare l’indulgenza.
Quello che soprattutto, forse, ha segnato i pellegrini di speranza è l’esperienza di aver visto se stessi, la propria vita, come una vita amata da Dio, accolta nella Chiesa. Hanno potuto sperimentare che la loro vita è amata, è perdonata, è abilitata ad amare e a perdonare. Hanno visto la loro vita nella luce del Signore, secondo il suo Santo Spirito: una vita chiamata alla grazia di essere figli e figlie di Dio, una vita chiamata alla santità nelle scelte decisive e nello stile quotidiano. Una vita che è vocazione a rendere più sereni e costruttivi i rapporti con gli altri e a rendere più bella e abitabile la terra. Una vita che ha sperimentato la remissione dei debiti ed è capace di rimettere i debiti altrui.
Ma quello che in questo anno ha segnato i pellegrini di speranza è anche l’esperienza di aver visto uomini e donne, popoli e nazioni, istituzioni e responsabili indifferenti alla parola della speranza. Hanno visto responsabili delle sorti del mondo e delle istituzioni dei popoli animati da logiche di potere, malati di aggressività fino alla follia della guerra e fino a coltivare il progetto di sterminare i nemici. Hanno visto ricchi arricchire oltre misura e poveri impoverirsi fino alla disperazione.
I pellegrini di speranza sono tornati alle occupazioni consuete, agli impegni negli ambienti della vita quotidiana. Che ne sarà della loro speranza? Che ne sarà del loro pellegrinaggio? Deporranno la speranza per rassegnarsi all’indifferenza del mondo, alla aggressività e alle guerre, alle ingiustizie scandalose, alla corruzione rovinosa?
Io credo che i pellegrini di speranza continueranno a essere popolo in cammino perché non fanno della speranza un impegno volontaristico, una virtù circoscritta in un Anno santo, una disposizione ingenua alla fiducia. I pellegrini di speranza hanno imparato che la speranza è fondata sulla promessa di Dio e perciò la speranza non delude.
Perciò, pellegrini di speranza, ora che il Giubileo si conclude, continuate ad andare per questo mondo complicato e sbagliato, per dire di una vita che è vocazione ad aggiustare il mondo, per dire di una Chiesa che apre le porte per ospitare la miseria e farvi risplendere la misericordia di Dio in Gesù Signore.




