Lo Spirito di Dio ispira le Scritture perché siano come seme che porta frutto. (…) La Parola ci chiama dunque a un ascolto che sia come un terreno buono in cui il seme può portare frutto (2.2)
Quando l’Altissimo irrompe nella storia dell’umanità lancia un appello: «Shemà Israel», Ascolta Israele.
In ciascuno e ciascuna di noi questo grido vibrante risuona sempre come un invito a lasciarci coinvolgere in un rapporto di cui ancora conosciamo poco o nulla del tutto. Non è un invito a operare, a fare, a progettare, è un invito diverso e a cui non siamo abituati. Nel nostro contesto quotidiano, quanti momenti o luoghi di silenzio conosciamo per poterci mettere in ascolto?
L’invito è audace e coglie la persona nella sua radice profonda: lasciarsi plasmare dal Soffio che sempre è vivo in noi e noi non siamo capaci di cogliere. Sotto il Suo impulso le parole della Scrittura possono diventare vita reale, concretezza che scorta ogni nostro passo e scelta. Tutta la nostra umanità viene dissodata e arata, cioè letteralmente messa sotto sopra, la punta dell’aratro penetra e apre il terreno, lo prepara ad accogliere. Non esiste altra strada per eliminare i sassi, per filtrare il terreno e renderlo capace di cogliere il seme prezioso e imparare a custodirlo.
Come però custodirlo? Nel ritmo caotico e invaso dai rumori della nostra quotidianità, bisogna riuscire a individuare qualche minuto in cui lasciar fluire questa grande ricchezza e assaporarla. Certamente questo è il versante, per molti aspetti, esaltante e coinvolgente. Lo Spirito infatti con la sua rugiada bagna e ammorbidisce il seme che, nel terreno umido, trova la sua dimora. L’ascolto allora fluisce come una corrente gradevole che, inondando, colma di gioia: l’Altissimo è davvero il Presente. Farla propria, questa postura, può essere un’impresa che sembra però segnata dalla sconfitta. Non dovuta alla mancanza del desiderio quanto dalla conflittualità delle necessità.
Si impone la chiarezza: quanto di superfluo, di inutile, si rovescia sulla mia giornata? Sono capace di optare e quindi saper scegliere quanto voglio e non quanto è destinato a rendermi polvere opaca e sterile?
Capita tuttavia che, dovuto all’incalzare del proprio lavoro, dalla vita della propria famiglia, dalla durezza dei rapporti di lavoro, il terreno si mostri arido, secco e chiuso. Inospitale. Il seme non può appoggiarsi con confidenza e soccombe all’aridità.
Nessuna persona che si sia lascia attrarre su questo percorso di ascolto è indenne dall’aver provato e toccato con mano questa realtà frustrante. Il rischio è che la decisione presa non riesca a comprendere come esista anche l’insidia di Satana, del nemico, che vuole rendere il terreno un deserto, una steppa.
Le nostre forze sarebbero incapaci di venirci in aiuto e creare quell’atmosfera di resilienza e di attesa che solo lo Spirito crea. Non mutando in un vago sentimentalismo l’ascolto che vorrebbe ricavarne gusto e sapore ma rendendo i nostri sensi interiori, l’ascolto in questo caso, capace e partecipe di un’attesa fiduciosa.
Il terreno allora, misteriosamente affidato, può palpitare e schiudersi per accogliere. Non è abbandonato a se stesso e neppure è mai solo, lo Spirito ha creato nella nostra persona una viva comunione con tutta la Chiesa, con tutta l’umanità.
La schiusa e la fioritura della Parola diventa il grande dono che si espande su tutti e sempre quando l’ascolto sia accolto e prediletto.




