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Intervista

Claudio Porta, vocazione e scommessa di vita di un diacono permanente

L’1 agosto va in pensione dopo vent’anni di servizio, nei quali è stato economo del Pontificio Seminario Lombardo e del Seminario arcivescovile e direttore de La Vincenziana. Resterà attivo nella pastorale della parrocchia milanese di Ognissanti e raccomanda: «La preghiera è fondamentale»

di Annamaria BRACCINI

30 Luglio 2025
Claudio Porta

«Sono stato ordinato il 2 ottobre 2005 dal cardinale Dionigi Tettamanzi e come primo incarico sono stato assegnato al Pontificio Seminario Lombardo di Roma quale economo. Ho lasciato casa e sono partito con la grande responsabilità di affiancare monsignor Tullio Citrini, rettore del Seminario stesso». Claudio Porta, 60 anni, originario di Gorla Maggiore (Varese), racconta così, con semplicità, la sua storia di diacono permanente e gli importanti incarichi ricoperti in Diocesi grazie alla sua preparazione – è ragioniere – e ai suoi studi all’Istituto superiore di Scienze religiose dove ha conseguito la laurea triennale. Ormai giunto alla pensione – dal 1° agosto -, traccia una sorta di bilancio del servizio svolto.

Che tipo di esperienza è stata quella romana? 
Interessante sotto l’aspetto sia professionale, sia pastorale. Particolarmente bella la collaborazione con la Caritas romana nel servizio alle mense e nei dormitori della capitale. Dopo 9 anni monsignor Delpini, allora Vicario generale, mi chiese di tornare in Diocesi, proponendomi come direttore della Fondazione La Vincenziana, che tra l’altro gestisce tre collegi universitari arcivescovili di Milano, il San Paolo, il San Filippo Neri e Casa Bertoni. Questo mi ha messo alla prova, sia per quanto riguarda l’aspetto amministrativo, ma soprattutto per quanto attiene a quello che chiamerei qualitativo: per me significava offrire comunque una testimonianza, un’impronta, per quanto piccola, ritornando all’origine della nostra fede, quindi all’incontro con il Signore, che ci viene incontro a sua volta, in ogni situazione.

E poi?
Dopo gli anni trascorsi a La Vincenziana, monsignor Delpini, soddisfatto del lavoro che avevo svolto a Roma e a Milano, mi ha chiesto di seguire il Seminario arcivescovile di Venegono quale economo. Un compito molto più importante dei precedenti, a livello di fatica, ma anche dell’impegno “di testa e di cuore”, anche considerando quanto l’Arcivescovo tiene al Seminario e, quindi, la grande manifestazione di fiducia che mi era stata accordata. Anche nella gestione vi è certamente la parte più puramente economica, ma non si può dimenticare che il Seminario è qualcosa di molto più significativo nella vita della Diocesi. Sono entrato in questo ruolo tre anni fa con la nomina, il 1 settembre 2022: è stato un periodo bello e intenso.

Perché si sceglie di diventare diaconi permanenti? 
È una vocazione e una bella scommessa: libera risposta a libera chiamata. Io sono celibe, ma da giovane avevo l’intenzione di formare una famiglia. Tuttavia sentivo che mi mancava qualcosa dentro, che ciò che avevo non mi bastava, anche se sono sempre stato molto legato alle attività caritative, a fianco dei disabili. Mi sono molto interrogato su questo. Poi ho fatto la l’esperienza che definisco “rovinosa in senso positivo” – perché mi ha cambiato totalmente la vita – della Gmg in Polonia, quando con San Giovanni Paolo II siamo andati a Częstochowa nel 1991. Quando sono tornato a casa ho capito che dovevo fare un discernimento. Il cammino è durato molto ed è stato favorito anche da monsignor Pierantonio Tremolada (attuale Vescovo di Brescia) che mi ha accettato, nonostante i miei limiti, nella formazione del Diaconato permanente.

E adesso che prospettive si aprono?
Rimetto il mio mandato di economo dopo vent’anni di diaconato, ma rimango attivo nella pastorale della parrocchia milanese di Ognissanti, dove sono stato accolto ormai dieci anni fa e dove grazie alla comunità mi sento a casa. Sono contento di avere più tempo per dedicarmi, magari, ad altro in parrocchia, oltre alle attività che finora ho seguito come la benedizione natalizia alle famiglie, il sostegno alle persone anziane, l’incontro domenicale con i malati.

Se dovesse dare un consiglio a chi diventa diacono permanente quest’anno, cosa direbbe?
Di non abbandonare mai la preghiera del Breviario perché è facile “buttarsi” dentro le attività, dimenticandosi, a volte, della ragione profonda di quello che stiamo facendo e chi siamo. La preghiera, in questo senso, è fondamentale.