La regione è inquieta da decenni, segnati da sanguinosi conflitti che si alternano a fasi di relativa calma. Le ostilità, nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, si erano riaccese in modo violento all’inizio dell’anno, protagonisti i ribelli della formazione M23, movimento di etnia tutsi, che si ritiene sostenuto dal governo del confinante Ruanda e in grado di finanziarsi anche grazie al controllo di miniere di tantalio (metallo prezioso per le tecnologie informatiche).
L’M23 è uno dei circa 100 gruppi armati operanti nell’est del Congo. A esso si contrappongono l’esercito regolare congolese e varie milizie locali. Si stima che, da fine gennaio, la nuova ondata di cruenti scontri abbia causato circa 4 mila morti, di cui 2 mila solo durante la presa di Goma e Bukavu, capoluoghi delle regioni del Nord e Sud Kivu.
L’emergenza umanitaria
Una positiva svolta alla crisi potrebbe essere impressa dalla firma dell’accordo di pace tra RD Congo e Ruanda, avvenuta il 27 giugno a Washington e mediata da Stati Uniti (che mirano allo sfruttamento delle terre rare congolesi) e Qatar. La situazione umanitaria resta però drammatica. Ai rifugiati nei centri collettivi non è mai stata garantita un’assistenza regolare, anche perché molti organismi umanitari non hanno più potuto disporre di risorse sufficienti dopo il congelamento (disposto dall’amministrazione Trump) dei finanziamenti garantiti dall’agenzia statunitense Usaid. Le condizioni di vita sono difficili anche per migliaia di famiglie sfollate ex sfollate, costrette a tornare ai villaggi senza nulla. Gli aiuti internazionali sono stati impediti dalla chiusura, per mesi, degli aeroporti di Goma e Bukavu. La chiusura delle banche ha d’altro canto causato la mancata erogazione degli stipendi a dipendenti pubblici e insegnanti. Sul versante sanitario, sono stati segnalati casi di antrace e Mpox ed epidemie di colera.
Sfollati e profughi, più di 4 milioni
Da gennaio, i combattimenti hanno causato 2,3 milioni di sfollati interni nel Nord Kivu e 1,5 milioni nel Sud Kivu, mentre circa 550 mila rifugiati si sono riversati nei Paesi confinanti. I bisogni umanitari hanno incluso la mancanza di acqua potabile, specialmente nei centri collettivi, l’insicurezza alimentare e la saturazione degli ospedali, che mancano di medicinali. Inoltre, 795 mila bambini nel Nord Kivu non frequentano più la scuola, anche perché 80 scuole sono state distrutte o danneggiate.
In questo scenario, la rete Caritas Internationalis sostiene Caritas Congo con un piano d’intervento d’urgenza. Caritas Ambrosiana, in accordo con Caritas Italiana, ha supportato (sin qui con 20 mila euro, altri se ne aggiungeranno) questo piano d’azione, che si dispiega in diversi ambiti: salute (finanziamento di una clinica mobile), acqua potabile (realizzazione di sistemi di distribuzione nei centri collettivi), assistenza alimentare e beni essenziali (erogazioni di razioni di cibo, kit igienico-sanitari e sussidi in denaro), educazione (distribuzione di kit scolastici a mille bambini). Le Caritas locali, incluse le diocesane, collaborano con gli organismi Onu. Anche le Caritas dei Paesi confinanti si sono mobilitate, in particolare Caritas Burundi, per l’assistenza ai profughi.

Le Chiese chiedono pace
L’azione caritativa non è però la sola messa in campo dalla Chiesa cattolica, che insieme a quelle protestanti della regione ha promosso un “Patto per la pace e il buon vivere insieme” in Congo RD e nella regione dei Grandi Laghi. Oltre ad aver incontrato leader politici e ribelli, le Chiese lavorano per promuovere una conferenza regionale per la pace.
Le posizioni della Chiesa congolese sono state riprese da Caritas Internationalis in una dichiarazione al Consiglio per i diritti umani dell’Onu, chiedendo accesso umanitario, risorse adeguate, protezione degli sfollati, prevenzione del reclutamento militare forzato e cessazione delle ostilità. Gli organismi ecclesiali e della società civile denunciano, tra le altre cose, le implicazioni internazionali del conflitto, che ruotano attorno allo sfruttamento dei ricchi giacimenti minerari dell’est del Congo.




