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Fom

Al Museo dei naufraghi senza nome

Lunedì 25 novembre al Musa la seconda tappa dell’iniziativa «L’Arcivescovo vi invita…», nella quale monsignor Delpini accompagna gli adolescenti in luoghi-simbolo delle sette opere di misericordia. Incontreranno Cristina Cattaneo, la studiosa che lavora per ridare un'identità a tante persone morte durante i «viaggi della speranza»

di Stefania CECCHETTI

25 Novembre 2024
Cristina Cattaneo (foto Daniele Salvetti)

Restituire un’identità e una dignità ai corpi inghiottiti dal Mediterraneo, quelli a cui non pensiamo mai, a meno che non colpiscano la nostra immaginazione perché vengono trovati con la pagella o il pugno di terra natìa cuciti nella maglietta. A questa missione – sacra agli antichi, come gli eroi omerici ci ricordano – ha dedicato una vita Cristina Cattaneo, ordinario di Medicina legale e di Antropologia alla Statale di Milano, che ha ridato un volto a tanti morti «di serie B» attraverso l’attività del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano), accanto a cui sorge il Musa (Museo universitario delle scienze antropologiche, mediche e forensi). Proprio al Musa si svolgerà, lunedì 25 dalle 19 alle 21, il secondo appuntamento dell’iniziativa coordinata dalla Fom «L’Arcivescovo vi invita…», che quest’anno porta l’arcivescovo Delpini a incontrare i ragazzi nei luoghi simbolo delle sette opere di misericordia corporale (come «seppellire i morti», appunto).

«Il Labanof si è sempre occupato di discipline forensi e di medicina legale, scienze che studiano il corpo al fine di aiutare la giustizia e tutelare i diritti umani – spiega Cattaneo -. Dopo quasi 30 anni di attività ci siamo chiesti quanto la società conoscesse di queste scienze». In effetti, nonostante la molteplicità dei servizi svolti, il Labanof è noto soprattutto per aver gestito le operazioni di riconoscimento in due terribili naufragi: quello avvenuto al largo delle acque di Lampedusa il 3 ottobre 2013, nel quale hanno perso la vita quasi 400 migranti prevalentemente eritrei, e quello del 18 aprile 2015, avvenuto nelle acque internazionali tra la Libia e l’Italia, dove è affondata un’imbarcazione (nota come “il Barcone”) con a bordo circa 1000 persone. Il Musa è nato proprio «per raccontare in che modo le scienze mediche e forensi aiutino la giustizia e la tutela dei diritti umani».

Quello che farà Cattaneo lunedì sera accompagnando i ragazzi all’interno del museo: «Dopo un’’introduzione generale – illustra – faremo un iter nella nostra enorme collezione scheletrica, che rappresenta tutta l’umanità milanese dall’epoca romana a oggi. Spiegheremo come spesso i corpi del passato raccontino tanto in merito alla discriminazione e alla violenza del passato, rappresentando una storia che può essere anche molto diversa da quella delle fonti scritte».

Si approderà quindi alla parte contemporanea del museo, che è divisa in tre zone. «Nella prima – spiega Cattaneo – parleremo del diritto all’identità e dell’emergenza attuale nell’identificazione delle vittime della migrazione. Poi prenderemo una piega un po’ più “crime” per raccontare come si porta la scienza in un tribunale per ricostruire le dinamiche di un delitto, in modo bene diverso da come appare nelle serie tv o nei salotti televisivi. Una parte, questa, sempre molto apprezzata dalle scolaresche che visitano il Musa. Infine, spiegheremo come la stessa scienza applicata ai vivi possa aiutare a riconoscere le vittime di maltrattamenti e a prevenire la violenza. Perché la violenza è una malattia che ha bisogno di diagnosi, terapia e prevenzione, esattamente come il cancro o una patologia cardiovascolare».

L’ultima tappa del percorso sarà dedicata a un approfondimento su «quella grande missione che è stata l’attività identificativa dei migranti morti nel Mediterraneo». Un’operazione lunga (dopo dieci anni solo un’ottantina di corpi sui 1000 del “Barcone” hanno riavuto un nome) e complessa, che comporta anche il coinvolgimento delle famiglie delle vittime nei paesi di origine, per esempio per il prelievo di campioni di Dna: «Sempre di più mi rendo conto – nota Cattaneo – di come identificare i morti sia fondamentale per i vivi. Dal punto di vista amministrativo, perché la mancanza di un certificato di morte limita la libertà delle vedove e degli orfani. Ma soprattutto per il diritto, secondo me ancora più importante, a poter fare i conti con il lutto e a elaborarlo». Cosa che diventa quasi impossibile senza un corpo su cui piangere, come dimostrano le storie dei parenti dei desaparecidos o delle vittime della guerra nella ex Jugoslavia, che non sono mai state trovate o identificate: «Chi resta – conclude Cattaneo – si trova in un limbo terribile, che gli anglosassoni descrivono con termine molto eloquente: ambiguous loss, perdita ambigua».

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