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Milano

Escrivà, la santità vissuta nel quotidiano è ardore e sequela coraggiosa

Nel giorno della memoria liturgica del fondatore dell’Opus Dei, in Duomo l’Arcivescovo ha presieduto l’Eucaristia, concelebrata anche dal prelato regionale per l’Italia don Normann Insam 

di Annamaria Braccini

27 Giugno 2019

Camminare ogni giorno alla sequela del Signore, sulla via di una santità che non è il frutto di un momento folgorante, ma l’ardore che accende la vita intera. Santità che, magari, è anche uno «spavento», perché «di fronte a tale altezza e bellezza rimaniamo confusi». L’omelia si intitola «Siate santi!» e in effetti è un inno alla santità la riflessione rivolta dall’Arcivescovo ai moltissimi fedeli che, nel giorno della memoria liturgica di San Josemarìa Escrivà de Balaguer, prendono parte alla celebrazione eucaristica in Duomo. Come accade contemporaneamente in molti altri Paesi del mondo, anche a Milano si fa memoria del fondatore dell’Opus Dei, morto il 26 giugno 1975.

Tra le navate in cui trovano posto cooperatori e aderenti alla Prelatura, vengono proclamate le letture – dal capitolo 19 del Levitico, dalla prima Lettera di San Paolo ai Corinzi e dal Vangelo di Luca, con gli Apostoli che si fanno pescatori di uomini -, proprie della Messa di San Escrivà, concelebrata da 15 sacerdoti, tra cui il prelato regionale per l’Italia don Normann Insam, il vicario segretario don Matteo Fabbri, alcuni presbiteri dell’Opus Dei impegnati in Diocesi e l’arciprete della Cattedrale monsignor Gianantonio Borgonovo.

Spavento e ardore

«La santità è usata con una certa disinvoltura anche nelle Scritture», osserva subito l’Arcivescovo, ma «la santità è uno spavento. Un dio troppo facile non spaventa nessuno, un dio descritto secondo i nostri pregiudizi e le nostre fantasie non suscita nessuna sorpresa. Il mistero non spaventa perché si rivela sul Sinai con tuoni e fulmini e terremoti, ma perché si rivela sulla croce con il forte grido e con il costato trafitto». È questo essere santi come Dio è santo, che è spavento e, insieme, ardore.

«La passione, la generosità, la dedizione, fino al sacrificio, non sono una questione di carattere, non vengono da qualche sollecitazione esterna, non sono motivate dall’aspettativa di successo, di popolarità, non sono frutto di un “clima” in cui ci si trova immersi, come un’appartenenza stimolante dentro un gruppo, un movimento o una partecipazione comunitaria a un carisma. Tutte queste cose possono contribuire a rendere più facili o più difficili iniziative, stati d’animo e più gratificante o più frustrante la fatica. Ma l’ardore, quell’urgenza di annunciare il Vangelo, non è un vanto, perché è una necessità».

Un “bruciare” che, se autentico, si sperimenta in ogni momento, nella vita di tutti i giorni, nei rapporti e negli impegni ordinari, così come indicava Escrivà. Non a caso il prelato Insam, nel suo saluto di ringraziamento, richiama la prima beatificata laica dell’Opus Dei, Guadalupe Ortiz de Landazuri, chimica, educatrice, iniziatrice di opere sociali in Messico e Spagna. Una donna di cui papa Francesco, in occasione della recente beatificazione, ha detto: «Incoraggio tutti i fedeli della Prelatura ad aspirare sempre a questa santità nella normalità».

La missione continua

Una santità che può – non si nasconde l’Arcivescovo – esporre a pericoli e inimicizie. «L’ardore che fa santi ha anche tratti che possono essere antipatici, che possono rendere impopolari, che possono esporre a pericoli: difatti, molti nostri fratelli e sorelle, in ogni parte del mondo, sperimentano questa asprezza e queste reazioni ostili all’ardore che li spinge all’evangelizzazione. Eppure la missione continua. I discepoli non sono imprudenti, ma sono coraggiosi; i discepoli ardenti non sono preoccupati per sé, ma neppure sono temerari; i discepoli non praticano l’annuncio del Vangelo come un proselitismo aggressivo, ma non possono trattenersi dall’irradiare la gioia, dal vivere la libertà dei figli di Dio».

In questa società che non ama essere disturbata, l’incontro con Gesù diventa, allora vocazione e sequela. Come il segno della pesca straordinaria si conclude con la chiamata, così, anche oggi, inizia una storia nuova, un cammino. «La santità non è un istante folgorante, ma è la sequela, la quotidiana familiarità con Gesù, la quotidiana condivisione della sua vita, la fatica di attraversare il paese, di esporsi ai pericoli e alle consolazioni dell’appartenenza al gruppo di quelli che sono con il Galileo. Interroghiamoci su quale sia la relazione personale con Gesù che segna le nostre giornate».

Al termine, citando a esempio i Collegi legati all’Opera e da lui visitati, l’Arcivescovo ringrazia i presenti ed esprime riconoscenza per «tutto il bene che fate nella vita quotidiana».