Realizzare nella diocesi di Milano «comunità educanti» in grado di accompagnare, attraverso un messaggio unitario, in particolare i ragazzi più piccoli, durante i primi anni della formazione cristiana, quelli scanditi da sacramenti della Riconciliazione, Prima Comunione e Cresima.
Il testo – allegato nel box in alto a sinistra – anticipa la lettera pastorale dell’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, (tradizionalmente diffusa l’8 settembre) per dare modo ai sacerdoti e a chi opera in parrocchia di leggerla durante l’estate e di essere operativi alla ripresa della vita delle comunità. È lo stesso Scola a spiegarlo in questa prima nota pastorale (una seconda uscirà nei prossimi mesi): «Non una nuova Lettera Pastorale – scrive il cardinale Scola ,- ma il tentativo di sviluppare aspetti della proposta pastorale degli anni scorsi. Mi soffermerò su due temi che mi sembrano particolarmente significativi: la comunità educante, in riferimento all’Iniziazione Cristiana dei ragazzi e Milano a partire da Expo 2015. Su Milano ed Expo 2015 tornerò più avanti con una seconda».
Nel testo, intitolato La comunità educante, l’Arcivescovo parte dalla constatazione che le «oggettive difficoltà» che incontra la Chiesa nel suo compito di evangelizzazione dipendono dal «contesto di frammentazione in cui viviamo». Pensando in particolare ai più piccoli impegnati nel percorso di iniziazione cristiana, il cardinale Scola osserva che «i nostri ragazzi passano ogni giorno dalla famiglia alla scuola, allo sport, alla musica, all’oratorio, al catechismo, attraversano comparti stagni senza potersi ancorare ad un filo rosso che unifichi la loro giornata. Al di là della dedizione encomiabile di decine di migliaia di educatori il ragazzo sente il catechismo come una sorta di doposcuola che lo porterà al traguardo della Confermazione, giocoforza inteso dalla maggioranza con il termine di un percorso. Da qui l’emorragia che è sotto i nostri occhi. In questo modo, si fa sempre più forte la tentazione di rinunciare a educare e di abbandonarsi all’individualismo».
Il cardinale Scola spiega che «la proposta educativa consiste dunque nell’offrire un incontro effettivo con Gesù, per imparare a seguirLo. Nel mondo odierno, in cui la società non offre un orizzonte unitario, è la Chiesa stessa che si deve far carico di proporre questo vitale principio sintetico». Come fare? Non certo delegando l’educazione dei ragazzi agli specialisti, ma attraverso «la creazione di comunità educanti» in cui «l’incontro con Gesù venga vissuto e praticato effettivamente come principio d’unità dell’io e della realtà».
Per Scola la «comunità educante vuol essere un’espressione specifica della Chiesa-comunione, così come essa vive nella nostra Diocesi attraverso le diverse comunità cristiane». Concretamente, suggerisce l’Arcivescovo, «non si tratta di aggiungere all’organigramma parrocchiale una ulteriore struttura o gruppo. La “comunità educante” emerge, starei per dire “naturalmente”, dal vissuto reale dei ragazzi/e, cioè da quelle figure educative che di fatto già sono in rapporto con loro e che vogliamo aiutare a riconoscere più consapevolmente questo loro compito educativo dentro la vita di comunità. Sacerdoti e diaconi, religiosi/e e consacrati/e, genitori e nonni, insegnanti, educatori ed animatori, allenatori sportivi, direttori di coro… Ogni ragazzo è già, di fatto, in rapporto con tutte queste figure, ma assai di rado esse si presentano come portatrici di una proposta unitaria e non vengono quindi percepite come parte di una stessa comunità. Invece una comunità viva e consapevole è la condizione imprescindibile perché i ragazzi incontrino personalmente Gesù come “centro affettivo”, cioè punto di riferimento stabile per la loro vita».
L’Arcivescovo immagina che «gli adulti che formano la comunità educante «non si incontrano solo per organizzare cosa fare con i ragazzi/e, ma per vivere in prima persona l’esperienza di fede e della comunione in funzione dello specifico compito educativo dell’iniziazione», «coinvolgendo le famiglie, genitori e nonni», con uno stile dove «si vive la carità fraterna».