Share

Anniversario

25 Aprile, 70 anni di libertà

Durante la Resistenza un grande ruolo hanno avuto i soci dell’Azione cattolica e della Fuci. Premiati con 112 medaglie d’oro al valore, 384 d’argento e 358 di bronzo. Un patrimonio di idealità e di fede da riscoprire e valorizzare. In allegato video servizio del conferimento del Premio Lazzati e le video interviste a mons. Barbareschi e a Marco Garzonio

di Giorgio VECCHIO Docente di Storia contemporanea, Università degli studi di Parma

21 Aprile 2015

Le cifre parlano da sole: durante la lotta di Liberazione la sola Azione cattolica italiana vide cadere 1279 soci e 202 assistenti, mentre furono insigniti di medaglia d’oro al valore ben 112 tra soci e assistenti. Le medaglie d’argento furono 384 e quelle di bronzo 358.

C’è un «volto nuovo» della lotta di Liberazione, che questi dati permettono di rilevare all’occhio dello storico, mostrando come la formazione ricevuta da molti giovani tra i campi di calcio e le aule di catechismo degli oratori fu in tanti casi all’origine di scelte coraggiose di «resistenza» e di forte testimonianza pubblica negli anni duri della guerra e del fascismo.

Questo consistente contributo di sangue era naturalmente determinato dal fatto che sotto il regime fascista l’Ac era l’unica associazione confessionale consentita e che il numero dei suoi iscritti era straordinariamente elevato. Ma c’era qualcosa di più. La formazione cristiana di quei giovani era tutta incentrata sul bipolarismo tra Azione cattolica e oratorio, secondo un tratto tipicamente lombardo e ambrosiano e che il cardinal Ferrari, prima, e Schuster poi, avevano tentato di regolamentare, anche per evitare sovrapposizioni e magari conflitti. L’Azione cattolica – in particolare la Giac (Gioventù italiana di Azione cattolica) – aveva un ruolo fondamentale nella formazione: si puntava a un’educazione esigente che sottolineava le virtù e i doveri spettanti ai vari «stati di vita». Era un’educazione che insisteva su norme precise e ferree, sulla forza di volontà, sul sacrificio, sulla regolare devozione (specie eucaristica), sulla purezza, nonché sulla capacità di testimonianza pubblica (l’apostolato, nel gergo di allora).

Insomma, si volevano educare uomini e cristiani veri e poco importava se per farlo si doveva ricorrere alla suggestione del numero e della forza, riprendendo in tal modo la mentalità del tempo, pur senza voler cedere alla concorrenza del fascismo. Scarsa attenzione era riservata anche ai rischi insiti in metodi che avrebbero potuto favorire un’adesione a riti e schemi esteriori più che a una rilettura matura delle istanze della fede. Sta di fatto – e il caso di Bollini lo dimostra ampiamente – che questa educazione preparò un’intera generazione di giovani ad affrontare la bufera della guerra mondiale, le tremende scelte della Resistenza e poi le fatiche della ricostruzione e dello sviluppo dell’Italia nel dopoguerra.

Quell’educazione tornò buona quando si trattò di compiere scelte importanti: oltre ai vari Olivelli, Pistoni, Pierobon, Focherini, i dirigenti e i militanti dell’Ac e della Fuci si trovarono ovunque in prima linea.

Giuseppe Lazzati sfruttò la prigionia in Germania per rafforzare la fede dei compagni e per tracciare le linee di una nuova Italia; il sudtirolese Josef Mayr-Nusser pose le basi di una convinta obiezione di coscienza (arruolato a forza nelle SS, rifiutò di giurare fedeltà a Hitler e venne ucciso); il partigiano bresciano Emiliano Rinaldini fu ucciso a tradimento dai militi fascisti e il suo sangue macchiò il libricino dell’Imitazione di Cristo che custodiva sul petto.

Speciale fu il destino di un giovane dell’Azione cattolica di Legnano (Milano): Giuseppe Bollini, partigiano in Val Grande, sopra le sponde del Lago Maggiore. Catturato dai fascisti e condannato a morte per rappresaglia, accettò la fucilazione con spirito cristiano, richiese i conforti religiosi e perdonò pubblicamente i suoi uccisori, invocando la fine della spirale tragica delle vendette reciproche.

La singolarità della storia di Bollini dipende dal fatto che egli non compì eclatanti azioni in combattimento; non fece proclami solenni di fede politica; non rivestì cariche di rilievo. Era un ragazzo semplice, come decine di migliaia di altri. Tuttavia, posto di fronte al plotone di esecuzione, trovò la forza per morire con il massimo di dignità umana e di fede cristiana. Nel frangente estremo della vita, la sua vita anonima raggiunse i tratti dell’eroismo.

Anche Bollini giunse a quel passo grazie alla solida formazione ricevuta all’interno del suo oratorio e nella Giac. Per questo è importante alzare lo sguardo verso un orizzonte più ampio, ovvero quello costituito dalla partecipazione alla lotta di Liberazione dei giovani e degli uomini che nell’antica associazione militavano o avevano militato pochi anni prima.

Le scelte del giovane legnanese, così coerenti con l’insegnamento ricevuto in oratorio e in Azione cattolica, vanno inserite in un contesto molto più ampio, che vide la presenza di testimoni e di martiri in tutta l’Europa. Il discorso può – e deve -, dunque, essere allargato alle altre nazioni, mettendo nel conto sia il comportamento e le motivazioni di chi si inserì nella vera e propria resistenza armata, sia le innumerevoli iniziative di sostegno agli sfollati, ai senzatetto, ai prigionieri, alle famiglie rimaste prive di sostentamento, e così via. Ciò si verificò in molti Paesi, dalla Germania all’Austria, dalla Francia al Belgio, e anche nella Svizzera neutrale.

Il rapporto tra Ac e Resistenza è stato studiato finora sotto molti profili, ma per lo più in modo disorganico oppure apologetico o, ancora, all’interno della più vasta storia dei cattolici nella Resistenza. Si è così costretti, per saperne di più, a muoversi tra archivi, libri, articoli e siti internet di ogni genere per raccogliere e poi ordinare le informazioni ricavate.

Nelle pagine del mio ultimo libro, che esce proprio in questi giorni a ridosso del settantesimo anniversario della Liberazione, e dedicato alla ricostruzione della figura di Giuseppe Bollini (Vita e morte di un partigiano cristiano. Giuseppe Bollini e i giovani di Azione Cattolica nella Resistenza, In dialogo, 112 pagine, 9,90 euro), non ho certo la pretesa di colmare questa lacuna, ma vorrei sollecitare gli studiosi ad affrontare in modo più organico e completo questi argomenti, oltre che invogliare gli attuali appartenenti all’Azione cattolica (e, certo, non solo loro) a riscoprire e valorizzare un patrimonio di idealità e di fede che non deve andare disperso.

La serie completa de “Il ribelle”

Il ribelle è uno dei giornali clandestini della Resistenza, i cui 26 numeri furono pubblicati tra il 5 marzo 1944 e il 25 aprile 1945. La nuova edizione viene pubblicata dall’editrice In dialogo (132 pagine) in occasione del 70° anniversario della Liberazione su iniziativa della Fondazione Ambrosianeum. Un’occasione preziosa per fare memoria di quei valori che sono diventati il fondamento della Carta costituzionale e della democrazia italiana.