Come materiale integrativo e di approfondimento del nuovo sussidio dedicato alla catechesi per i giovani (“Come fratelli. Testimoni dell’amore di Dio”) è stata raccolta la testimonianza di don Marco Recalcati sulla realtà del carcere.

A cura del Servizio per i Giovani e l’Università

Carcere

Come materiale integrativo e di approfondimento del nuovo sussidio dedicato alla catechesi per i giovani (Come fratelli. Testimoni dell’amore di Dio) sono state raccolte alcune testimonianze.

Nel sussidio si possono trovare 3 termini fondamentali: Parola, Pane e Poveri. I giovani, infatti, possono essere accompagnati alla conoscenza vitale di Gesù attraverso la Parola (e in particolare quest’anno viene proposta la lettura continuativa del Vangelo di Giovanni), attraverso il Pane che ci chiama alla celebrazione e alla adorazione della Eucarestia, attraverso i Poveri che siamo chiamati ad amare e dai quali lasciarci convertire.

Questa testimonianza è relativa ai Poveri: in particolare abbiamo ascoltato le parole di don Marco Recalcati, cappellano di San Vittore da 8 anni, che ci ha raccontato la realtà del carcere.

Don Marco racconta come la sua giornata sia dedicata prevalentemente all’ascolto: esso permette di accostarsi e di costruire una relazione con i detenuti. Ridendo, afferma come lo strumento pastorale che utilizza maggiormente sono i fazzoletti di carta: “Tutti giorni, in questi 8 anni, ho sempre trovato qualcuno che piangeva; quindi poter dare un fazzoletto, poter fare un piccolo gesto ti permette di rasserenare un po’ quel passaggio importante della loro vita”.

I poveri che incontra ogni giorno, dice don Marco, non sono persone povere materialmente ma lo sono dal punto di vista esistenziale; spesso sono completamente sfasate rispetto ai fondamenti della vita. Quindi sicuramente in carcere ci sono situazioni di estremo bisogno ma anche storie apparentemente normali ma che in fondo riguardano persone che hanno perso il senso della realtà, e questo tipo di povertà è anche più difficile da accompagnare. Lavorare in carcere, continua don Marco, significa quindi avere un cuore capace di accogliere anche quelle situazioni che non si presentano come povere. In carcere, inoltre, non sono solo i detenuti ad avere bisogno di ascolto, ma spesso necessitano di parole di conforto anche i numerosi operatori che lavorano al suo interno come gli educatori, la polizia penitenziaria e gli operatori sanitari.

Sicuramente una cosa di cui io mi sono reso conto è che siamo uguali”: con queste parole don Marco racconta come l’esperienza in carcere gli abbia insegnato che la storia di uno qualunque dei detenuti poteva essere anche la sua, se fosse nato in un contesto diverso e senza la capacità educativa della sua famiglia. E continua: “Ecco questo mi aiuta molto a non mettermi al di sopra o dietro a loro, ma essere proprio accanto”.

Lavorando in carcere, ha anche scoperto come le parole del Vangelo lì abbiano una forza straordinaria. Nel carcere le persone hanno delle ferite e la parola di Dio entra, diventa un balsamo, diventa capace di guarire. Ha compreso anche come il Signore Gesù si presenta come misericordioso, come capace di sostenere le fatiche, di aprire orizzonti dove a volte l’orizzonte si chiude.

Concludendo la sua testimonianza, don Marco afferma: “Cosa ho capito della realtà? Io credo che noi siamo chiamati, chi ha conosciuto la forza e la grazia del Vangelo, a trasformarla […] Ecco penso che il Signore ti sta preparando adesso a qualcosa di grande, nel cammino di studio, nel cammino di pensare a una tua famiglia, nel cammino di pensare ad una consacrazione; ecco ti sta chiedendo qualcosa di grande che poi ti permetterà davvero di trasformare il mondo”. Possiamo quindi scegliere se essere indifferenti oppure avere il coraggio di trasformare quel pezzettino di vita che ci è stata affidata.

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