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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Ricordo

Gianni Brera, letterato dello sport

Vent’anni fa, in un’incidente stradale, moriva il più popolare giornalista sportivo italiano, esempio di rigore e di innovazione professionale

di Mauro COLOMBO

19 Dicembre 2012

A lui si potrebbe perfettamente adattare il motto che ha reso celebre La Settimana Enigmistica, “la rivista che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione”. Quale aspirante giornalista – sportivo, in particolare – non ha mai tentato di emulare Gianni Brera, nell’approccio ai temi da trattare, nella felice commistione di molteplici saperi, negli immaginifici neologismi? A vent’anni dalla morte (19 dicembre 1992) si può tranquillamente dire che il grande Giuàn non ha lasciato eredi, tranne forse che in Gianni Mura, che prima ancora dello stile professionale ne ha assorbito lo spirito esistenziale.

Direttore più giovane nella storia della Gazzetta dello Sport, ma anche partecipe convinto dei vàri del Giorno, del Giornale di Montanelli e della Repubblica di Scalfari (oltreché timoniere sagace del Guerin Sportivo), alfiere di acerrime polemiche scritte e parlate, ma autentico letterato dello sport e non solo, Brera è stato soprattutto un esempio di rigore professionale. Altrimenti non avrebbe potuto passare con disinvoltura – ed eguale competenza – dall’atletica alla boxe, dal ciclismo al calcio, di cui ha stilato resoconti sempre esaurienti e tempestivi. Allo stesso modo, senza una certosina documentazione e una curiosità intellettuale senza limiti, non avrebbe saputo, in una semplice cronaca calcistica, inserire citazioni di storia, letteratura, fisiologia, etnografia… Infine, non sarebbe stato capace – lui principe della penna quotidiana – di reinventarsi, già in età matura, affermato e credibile opinion leader sul piccolo schermo.

Paracadutista e partigiano durante la guerra, Brera era atterrito dall’idea della malattia e della sofferenza fisica. Molto meglio – si era augurato più volte – andarsene in uno schianto automobilistico o aereo. In questo senso la sorte gli è stata benigna, presentandosi a lui nella forma di un incidente stradale nella nebbia della sua Bassa, di ritorno da una di quelle maratone enogastronomiche di cui era fautore e cultore. Ma vent’anni dopo i suoi scritti conservano ancora arguzia e freschezza d’inchiostro.