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Olimpiadi

Cinque cerchi a (troppo) caro prezzo

Il no del Governo Monti alla candidatura di Roma per i Giochi del 2020: l’idea è bella, il momento è brutto

di Nicola SALVAGNIN

15 Febbraio 2012

Ognuno ha fatto correttamente la sua parte: il mondo dello sport – con le sue star a sottoscrivere – nel richiedere al Governo di dare il suo avallo alla richiesta da avanzare al Comitato olimpico internazionale per ottenere le Olimpiadi a Roma nel 2020; Mario Monti e il suo esecutivo, nel respingere cortesemente l’invito con una ferrea quanto esatta valutazione: l’idea è bella, il momento è brutto.

Organizzare i Giochi olimpici è tutt’altro che semplice e indolore, anzi è complesso e soprattutto costoso. Abbiamo davanti agli occhi il recente esempio di Atene: qualsiasi commentatore economico riconosce che lo sforzo di organizzare in terra ellenica l’Olimpiade del 2004 abbia letteralmente messo in ginocchio le finanze di quel Paese. Che ora sta pagando (certo, non solo per le Olimpiadi) un prezzo terribile.

Ospitare un simile evento significa dotarsi di strutture perfette per decine di discipline sportive, normalmente nella regione oltre che nella città. Strutture che a volte vivono di luce intensa giusto per quei pochi giorni, rimanendo poi sottoutilizzate o peggio. Significa dotarsi di infrastrutture viarie che coinvolgono l’intero Paese; costruire una cittadella olimpica; ospitare centinaia di migliaia di turisti e sportivi. Ci sono sicuramente grandi vantaggi (appunto i flussi turistici, ma soprattutto la visibilità mondiale che una simile manifestazione dà), ma c’è da mettere sul piatto un pacco alto così di miliardi di euro: da dove li tiriamo fuori?

C’è infine il fondato dubbio – dentro i confini patrii – che gli italiani non siano bravissimi nell’affrontare simili sforzi organizzativi. Il ricordo di “Italia 90”, dei ritardi, delle opere malfatte o inutili, della corruzione che interessò più di un appalto, scoraggia dall’intraprendere di nuovo una simile strada. Tant’è che poco tempo fa l’Uefa ha preferito assegnare l’organizzazione dei Campionati europei di calcio ad Ucraina e Polonia (ripeto: Ucraina e Polonia) piuttosto che all’Italia. Fece male? Fece così, e in epoca di cinghie strette qual è quella attuale, fu un bene.

Infine, qualche dubbio che una città così fragile e complessa come Roma, riesca a sopportare anni di lavori pubblici paralizzanti e un evento capace di sfidare la tenuta organizzativa degli americani (ad Atlanta 1996 diversi atleti si persero per strada e non riuscirono a partecipare alle gare). Se qualcuno ha dei dubbi, pensi al recente harakiri sofferto dalla capitale per qualche centimetro di neve.

Quindi arrivederci anelli olimpici, che hanno fatto la fortuna di Barcellona nel 1992 – la città venne completamente rinnovata – e hanno rilucidato Londra in vista di quelli di quest’anno. Anche qui con costi enormi, seppur gestiti “all’inglese”; e un deficit di bilancio che spaventa il governo Cameron, che ha ereditato quella decisione presa ancora in epoca Blair.

Monti ha recentemente promesso di voler cambiare la mentalità degli italiani, sottintendendo: li vorrei un po’ più tedeschi. Ecco: quando riusciremo a completare 200 km di alta velocità in meno di trent’anni; quando realizzeremo il riammodernamento della Salerno-Reggio Calabria in meno di quaranta; quando passeremo dai progetti agli scavi per il tunnel del Brennero in meno di venti; quando infine ci impegneremo più a ricostruire L’Aquila che a progettare percorsi acquatici per il kayak olimpico… Ecco, allora avrà vinto Monti e avremo vinto noi tutti.