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Il caso

Torri di Lambrate, “spia” di una visione confusa della città

Due palazzi in costruzione a fianco di un edificio in co-housing, con strascichi giudiziari: tra limiti e confusioni normative, il difficile destino dell’edilizia sociale nella metropoli. Il parere dell’urbanista Gabriele Rabaiotti

di Stefania CECCHETTI

17 Febbraio 2024

Anche senza entrare nel merito delle inchieste giudiziarie, basta il buon senso per capire che quanto è successo in via Crescenzago a Milano è qualcosa di anomalo. Ai bordi del Parco Lambro, nel pieno di una periferia milanese ex industriale che si sta ridisegnando, sorgono affiancati, a pochissimi metri l’uno dall’altra, il gigante e la bambina. La bambina è «Base Gaia», uno dei primi esperimenti di co-housing in Italia: una piccola palazzina che un gruppo di dieci famiglie ha costruito cinque anni fa, secondo criteri di sostenibilità e di risparmio energetico, con alla base un progetto di vicinato solidale aperto al quartiere (leggi qui). Il gigante è «Park Towers», due torri di 23 e 16 piani, costruite come ristrutturazione di un capannone industriale di due piani, e finite sotto inchiesta. Insomma, un contrasto degno di entrare in una fotografia di Gabriele Basilico, il cantore del degrado urbano.

«Servono regole specifiche»

Come è possibile una simile contraddizione? L’abbiamo chiesto a Gabriele Rabaiotti, urbanista del Politecnico ed ex assessore alla Casa del Comune di Milano. Uno che di edilizia sociale se ne intende, essendo stato tra le anime che hanno dato vita a «Villaggio Barona», un vero e proprio villaggio solidale, con appartamenti di edilizia sociale, servizi di assistenza e spazi per il tempo libero.  «Gli esperimenti di edilizia sociale come Base Gaia o Villaggio Barona – ma se ne possono citare altri a Milano, per esempio i progetti di Fondazione housing sociale -, in quanto innovativi, sfuggono agli incasellamenti previsti dal sistema delle regole. Per non essere maltrattate, come invece spesso avviene, queste esperienze avrebbero bisogno di regole del gioco studiate appositamente per loro». Il sistema delle regole in vigore è il Pgt (Piano governo del territorio), frutto dell’azione legislativa a livello di amministrazione comunale, al quale spetta la disciplina ultima, «anche se – precisa Rabaiotti – si possono trovare riferimenti normativi anche nella legislazione nazionale e regionale».

Facciamo allora qualche esempio sui “percorsi a ostacoli” che l’edilizia sociale può trovarsi a dover percorrere. Una prima questione riguarda gli oneri – soldi od opere di pubblica utilità – dovuti dal costruttore, a “compensazione” dell’aggravio in termini di carico insediativo che i nuovi edifici residenziali comportano. «Potremmo chiederci: quando si tratta di edilizia sociale o di servizio, quale contributo è giusto richiedere? Più alto di quello ordinario, più basso, o può essere addirittura azzerato, dal momento che questi progetti sono essi stessi una “prestazione pubblica”?» azzarda Rabaiotti. E aggiunge: «Se la regola non definisce le residenze sociali come speciali, ma le tratta come ordinarie, il rischio che i soggetti promotori si scoraggino di fronte alla burocrazia è molto alto».

Bello e impossibile?

Alcune norme speciali sull’edilizia sociale, in verità, ci sono, ma sempre in senso restrittivo, come spiega ancora Rabaiotti: «Agli interventi che si iscrivono nell’ambito del sociale viene chiesto un “permesso di costruire convenzionato”, in parole povere bisogna certificare che è un intervento di natura sociale. Per esempio, specificando che gli appartamenti saranno a canone concordato o che saranno presenti famiglie svantaggiate. Ci vogliono competenze, per scrivere queste convenzioni, che non sempre i soggetti costruttori hanno. Per scrivere la convenzione di Base Gaia, per fare un esempio, come consulente fu chiamato il sottoscritto». La convenzione deve passare al vaglio degli uffici competenti, che in genere sono più di uno: «Devo riunire intorno a un tavolo l’urbanistica, ma anche il sociale, se l’intervento prevede anche attività culturali bisogna chiamare anche la cultura, se si fa attività sportiva anche lo sport. In sostanza, più articolato e bello è il progetto, più è un pasticcio riuscire regolarlo e a normarlo. E l’amministrazione può sempre rispondere che il progetto non è convincente e costringere a rifare tutto».

Di contro, prosegue Rabaiotti, «le stesse regole che strozzano i progetti sociali, hanno prodotto delle distorsioni straordinarie e sono venuti su palazzi da 25, 30, 35 piani, in luoghi dove chiunque, passando, capisce che erano inopportuni». «Questo non significa automaticamente corruzione – aggiunge Rabaiotti -. In Italia siamo dei maestri nell’abusivismo, inutile negarlo. Ma il gioco è più sottile. La questione è che, in presenza di vuoti o grigi normativi, in nome della semplificazione e a suon di deroghe, si plasmano le leggi, guarda caso sempre a vantaggio di chi ha il potere per fare pressione, come i grandi gruppi costruttori. Che sanno perfettamente di avere il coltello dalla parte del manico, perché quello immobiliare è stato sempre un mercato di traino nel nostro paese, nel bene e nel male, e per i soldi che con i loro interventi mettono nelle casse dei Comuni, in termini monetari e di urbanizzazione».

Gli interessi sopra tutto?

«In Italia – continua Rabaiotti -, e non soltanto a Milano, la norma procede per cumulazione, mai per cancellazione o sostituzione. Quando una legge mostra i suoi limiti non si abroga per rifarla da capo, ma si rivede stralciando o aggiungendo commi e interpretazioni. Così, a furia di aggiungere “pezzettini”, quello che ci ritroviamo è un guazzabuglio normativo, dove si dice tutto e il suo contrario, e le interpretazioni vantaggiose per i costruttori sono sempre possibili, basta avere dei buoni avvocati».

Nella vicenda delle Torri di Lambrate sono stati gli stessi funzionari comunali a protestare, arrivando a minacciare le dimissioni, lamentando scarsa tutela legale: «Cosa che ha dell’assurdo – chiosa Rabaiotti -: in pratica il Comune chiede aiuto per interpretare il Pgt che ha scritto da sé».

«È evidente – conclude Rabaiotti – che in tutto questo il problema di una visione della città, e di come la regola dovrebbe seguire coerentemente quella visione, si perde, alla mercé degli interessi che si fanno avanti, un pezzettino alla volta».

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