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Milano

Tv, una sfida che la famiglia deve accettare

Appassionato dibattito alla sede Rai di Milano, promosso dall’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi in preparazione a Family 2012

di Pino NARDI

10 Novembre 2011

Un tempo si diceva che la televisione era diventato il nuovo focolare domestico, anche con una punta di negatività. Oggi va invece considerata un’occasione da recuperare. Perché è sempre più difficile riunire tutta la famiglia davanti alla tv per guardare insieme un programma. La tv diventa un fattore di isolamento (avendo in casa più apparecchi). Oppure lo si considera un vecchio arnese, quando i ragazzi passano ore sui social network.

È quanto emerso da un appassionato dibattito tenutosi ieri in una sala della storica sede della Rai in corso Sempione a Milano. Un incontro di formazione per operatori della comunicazione e dell’educazione sul tema “Famiglia, educazione, televisione”, promosso dall’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi in preparazione a Family 2012. Incalzati dalle domande di Lorena Bianchetti, conduttrice e presentatrice della Rai, sono intervenuti monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei, Pier Cesare Rivoltella, docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento della Cattolica, e il giornalista di Avvenire Alessandro Zaccuri.

«L’antidoto dell’invasione della tv è la capacità di esibire controambienti come la famiglia – sottolinea Pompili -. Da un adulto è necessaria una maturità culturale che sappia dare una dritta, possa offrire al più giovane piste che possono essere valorizzate. Ci vuole però una grande convergenza della famiglia davanti alla tv».

Conferma Zaccuri, come giornalista, ma anche in qualità di genitore: «La tv è sempre uno degli attori, ma non è più centrale come negli anni Novanta. Eppure la famiglia deve accettare la sfida: guardare insieme ai figli un programma anche se non piace ai genitori per capire come i ragazzi si pongono di fronte alla tv ed evitare che compiano errori fatali. Sapendo dire anche qualche “perché no”, motivando le proprie scelte».

La parola allo studioso

Rivoltella afferma che è «necessaria una pedagogia del contratto, che passa attraveso la condivisione, la pazienza della negoziazione. Il problema vero sono gli adulti, che corrono due rischi: essere apocalittici, enfatizzando i rischi, e quindi diventare protettivi, che però è il contratrio dell’educare. La pedagogia del contratto chiede tempo da dedicare. Serve un uso sociale della condivisione della tv in famiglia».

Il difficile mestiere dell’educare si deve confrontare anche con un approccio corretto al mezzo. È la televisione a condizionare i comportamenti, le mentalità, le scelte di vita? «La tv riflette la situazione di sconcerto e confusione, racconta quello che già accade nella realtà. La tv non è la causa, ma un campanello d’allarme», avverte monsignor Pompili. «L’immagine della famiglia che esce dalla tv è lo specchio della società attuale – gli fa eco Rivoltella -. È la famiglia di oggi, con tutti i suoi problemi, le sue frammentazioni, le sue situazioni difficili e diverse».

Qual è il ruolo dunque del mezzo televisivo? Risponde Rivoltella: «La funzione della tv oggi è di storytelling (raccontare storie, produrre miti, modellare valori condividendoli con altri media); di passaparola tra realtà e vita; di messaggio: una tv banale, leggera, ordinaria, culla la mediocrità del telespettatore».

Il professore mette in guardia su due questioni: «Oggi c’è un eccesso di disponibilità di informazioni, per questo bisogna alzare il livello di selezione intelligente, ma questo è più difficile. Una realtà vista da tutti i punti di vista alla fine vuol dire non riuscire a farsi un’opinione – sottolinea Rivoltella -. E poi, nella fiction e nei cartoni animati, si assuefà il telespettatore al fatto che la violenza contro il cattivo sia buona: è una deresponsabilizzazione e una giustificazione morale della violenza contro il cosiddetto cattivo».

Di fronte a una programmazione spesso deprimente bisogna reagire chiedendo una televisione di qualità. «Ci meritiamo una tv diversa, non dobbiamo rassegnarci – suona la sveglia Pompili -. Un certo modo di fare tv mostra il fallimento. La pubblicità deve essere meno arbitro. Si ritorni a una televisione che parli della realtà. Bisogna riconoscere che la cosiddetta tv pedagogica ha avuto una grande funzione di collante sociale, di diffusione della lingua comune nel dopoguerra».