Sirio 19-25 marzo 2024
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Milano

«Usciamo dall’accampamento per visitare le vittime della grande rovina offrendo speranza»

In Duomo l’Arcivescovo ha conferito le Ordinazioni diaconali a 22 candidati diocesani e a 4 del Pime. Messaggi del segretario di Stato cardinale Parolin, con la benedizione del Papa e del cardinale Scola

di Annamaria Braccini

25 Settembre 2021

Collaboratori del Vescovo per porre rimedio alla grande rovina. Diaconi, liberi da ogni autoreferenzialità, per custodire lo stile del servizio nella missione e nella comunione.

È un compito impegnativo – e non lo nasconde – quello che l’Arcivescovo affida ai 22 seminaristi diocesani e ai 4 candidati del Pontificio Istituto delle Missioni Estere, nella solenne celebrazione eucaristica in cui conferisce loro, in Duomo,  l’Ordinazione, appunto, diaconale.

Concelebrano 7 Vescovi, i membri del Consiglio Episcopale Milanese, il rettore del Seminario arcivescovile, don Enrico Castagna e il Superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca,  i Canonici della Cattedrale con l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo e molti sacerdoti tra cui i parroci e responsabili di Comunità Pastorali di origine o di attuale destinazione dei Diaconi. Tanti anche i parenti – con i genitori in prima fila nella navata centrale – e gli amici di questi uomini di età diverse – dai 23 ai 57 anni -, di provenienze differenti – tra gli ambrosiani, 3 sono milanesi, ma sono rappresentate anche le altre 6 Zone pastorali -, e con esperienze di vita e di studio variegate alle spalle: dall’ingegnere a chi, per un decennio, è stato consigliere comunale, dall’esperto in comunicazione all’idraulico. Dei diaconi del Pime, 2 sono brasiliani, 1 del Camerun e 1 indiano. 

Insomma, una coralità, alla quale fa, infatti, più volte riferimento l’Arcivescovo, che trova i suoi simboli nel motto scelto dai Diaconi 2022 che diventeranno preti l’11 giugno prossimo, “Io sono con voi” dal Vangelo di Matteo e nell’immagine: l’Hallelujah dell’americano Mike Moyers, vivace opera del 2013 ricca di molteplici sfumature dorate e colori.

Dopo la presentazione e l’elezione dei Candidati con il loro “Eccomi”, l’omelia del vescovo Mario, che indossa l’anello pastorale del predecessore Schuster, utilizzato per le ordinazioni diaconali e presbiterali, indica la strada da percorrere in un tempo non facile come quello attuale.

L’omelia dell’Arcivescovo  

«Come hanno fatto i Santi vescovi milanesi – nella cui festa liturgica si svolge la celebrazione –  chiamo voi, uomini di fede, a ricevere l’Ordinazione diaconale, perché cerco collaboratori, ministri ordinari, fedeli laici, consacrati e consacrate per porre rimedio alla grande rovina», dice, in apertura l’Arcivescovo, in riferimento alla pagina di Matteo al capitolo 7.

«La presunzione del progresso indefinito e risolutivo di ogni nemico dell’umanità si è rivelata una illusione; lo sfruttamento scriteriato del pianeta, per trarne infinite risorse per l’avidità degli umani, si è rivelato un danno tremendo per gli stessi sfruttatori e ancor più per gli sfruttati; l’arroganza dei potenti di dominare la terra si è scontrata con l’invincibile nera nemica che non distingue i poveri e i ricchi. Di fronte alla grande rovina, la missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli cerca collaboratori per costruire la casa che resiste alle tempeste, la casa dell’uomo saggio».

Casa che non è, come oggi sarebbe facile credere, “blindata” e circondata di inferriate, ma “leggera” e libera, perché, ancorata sulla roccia certa del Signore e aderente alla Parola, unita a Gesù che è lo stesso ieri oggi e per sempre. Una «presenza reale e non solo una memoria ispiratrice; amico vivo, non un presupposto scontato; non una icona muta, ma una presenza viva, gloriosa».

«La confidenza quotidiana con Gesù è la grazia e l’impegno della vostra consacrazione. Il vostro umile servire, porterà molto frutto, il vostro agitarsi non porterà a nulla».

Una casa, dunque da costruire insieme vivendo della Parola che chiama e in una «stabilità che è nell’andare, non nello stare fermi, nell’uscire, non nel chiudersi. Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura. La paradossale stabilità della Chiesa si esprime nel continuare a muoversi per seguire Gesù, per non dimenticarsi della beneficenza che va a cercare i poveri e vive la comunione dei beni. Usciamo fuori dall’accampamento, visitando le vittime della grande rovina per offrire una parola di speranza, perché sia annunciato il Vangelo della gloria del crocifisso».

Vivendo tutto questo nella comunione ecclesiale e nel rispetto dell’autorità, come aggiunge l’Arcivescovo rivolgendosi direttamente ai Candidati: «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi. Non è la rivendicazione di un potere che umilia e limita la libertà, ma la proclamazione di un aspetto della comunione ecclesiale, per dire che l’edificazione di una casa che resista alle tempeste è impresa ecclesiale e non solitaria. Il riferimento ai capi della comunità è necessario, come è necessaria la corresponsabilità. In un tempo in cui la parola “sinodalità” è diventata un luogo comune irrinunciabile, c’è una verità profonda che deve essere sempre acquisita e praticata: la missione è frutto della comunione e la comunione dà alla comunità la forma di un coro in cui ogni fedele è chiamato a cantare per eseguire la stessa melodia. I Diaconi sono ordinati per essere custodi dello stile del servizio e l’autorità che viene conferita ai Ministri ordinati non è per far valere il proprio ruolo, come un potere autoreferenziale, ma per servire la comunione della pluralità dei carismi».

​Questa, e solo con questi caratteri, è la missione alla quale tutti devono collaborare: «Uscire, andare, essere una comunità di molti di cui i capi hanno la responsabilità facendolo con gioia e non lamentandosi. Siete qui non per promuovere voi stessi: è la Chiesa che conta su di voi». 

Poi, il “Sì, lo voglio”, “Sì, lo prometto” dei candidati pronunciato davanti all’Arcivescovo, le Litanie dei Santi, sdraiati ai piedi dell’altare maggiore, l’imposizione delle mani sul loro capo e la preghiera di Ordinazione, la vestizione degli abiti diaconali, la consegna del Libro dei Vangeli.

E, prima della benedizione finale, l’Arcivescovo dà lettura dei messaggi «particolarmente importanti e incoraggianti» pervenuti dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che porta la benedizione del Papa, e dal cardinale Angelo Scola, impedito per motivi di salute a partecipare di persona alla celebrazione. «Diventare sacerdoti – scrive l’Arcivescovo emerito di Milano – in questo cambiamento d’epoca rappresenta una sfida che la statura della responsabilità di voi diaconi esprime pienamente con la sua fede e il suo coraggio. Preghiamo la Vergine perché vi aiuti nel cammino che vi attende e vi renda capaci di accogliere e accompagnare le donne e gli uomini, spesso smarriti, del nostro tempo, annunciando con decisione Cristo presente anche in questa società che, da non pochi, è ritenuta postcristiana. Avete il mio affetto e la mia benedizione».     

«Oggi, festa dei Santi Vescovi milanesi, è un giorno particolarmente propizio perché ci dice la continuità della missione in questa terra», conclude il vescovo Mario, ricordando il suo ingresso solenne in Diocesi, il 24 settembre 2017, giorno in cui, quell’anno, ricorreva la stessa memoria liturgica.

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