«È un momento di fede, di festa, di gioia grande. La nostra gente, che si ritrova qui stasera, dice tutto questo con la fedeltà alla tradizione e con la vita vissuta tutti i giorni a Milano». La voce del vicario della Comunità filippina della Basilica di Santo Stefano Maggiore, parrocchia personale dei Migranti, don Sonny De Armas Umali, è chiara e distesa mentre attende di fare il suo ingresso sull’altare maggiore della Cattedrale per la celebrazione del Simbang Gabi – Ikalawang Araw, che, con grande solennità nella prima Messa detta “del Gallo”, avvia la novena che prepara questa numerosa comunità al Natale. Festa liturgica che ebbe inizio nel 1669, durante la colonizzazione spagnola delle Filippine, e che rimane uno dei momenti-cardine della vita dei fedeli di origine filippina sparsi in ogni parte del mondo.

Così anche in Duomo oltre un migliaio arrivano sotto una pioggia battente: dal Console generale a Milano Jim Tito B. San Agustin a tante famiglie, giovani e anziani, per l’Eucaristia presieduta da monsignor Giuseppe Vegezzi, Vescovo ausiliare e Vicario per la Zona I, concelebrata da una decina di sacerdoti, tra cui don Alberto Vitali, responsabile della Pastorale diocesana dei Migranti e parroco di Santo Stefano.
Portatori di speranza
È quest’ultimo a porgere il saluto di benvenuto, dicendo: «Quest’anno c’è qualcosa di più, in questo evento sempre tanto sentito. Siamo nell’anno del Giubileo della Speranza, ma guardando a quello che succede nel mondo, la speranza sembra essere messa in discussione dalla mancanza della pace. Papa Leone continua a chiederci di pregare e lavorare per una pace disarmata e disarmante. Credo che vogliamo tutti impegnarci per una pace possibile da costruire qui a Milano, anche nei nostri cuori, perché la pace non resti solo un desiderio, ma il motore che ci guida nella vita di tutti i giorni».
Una pace che – come aggiunge monsignor Vegezzi all’inizio del rito che si apre con il canto in lingua filippina dell’Inno del Giubileo – «comincia proprio dai piccoli gesti» e trova una sua immagine quasi paradigmatica tra le navate gremite di gente, immagine viva e concreta di tutti gli ambrosiani che edificano insieme l’unica Chiesa dalle Genti.
Poi, le letture proclamate in più lingue, con il Vangelo di Matteo nella commemorazione dell’annuncio a San Giuseppe. Italiano, inglese e filippino, infatti, si alternano nell’animazione dell’intera liturgia, con i canti eseguiti al meglio dal Coro, espressione delle diverse comunità filippine sul territorio, così come anche chierichetti e chierichette, provenienti da più parrocchie.

E proprio alla figura dell’«uomo giusto chiamato a essere custode del Messia e di Maria», si ispira l’omelia. Giuseppe, «della stirpe di Davide, a cui viene dato un compito straordinario nel Vangelo perché, dopo la perplessità iniziale, l’angelo lo incita a guardare in avanti perché lì sta la salvezza dell’umanità: Giuseppe è chiamato a guardare al futuro: tu lo chiamerai Gesù, cioè il Salvatore, infatti salverà il popolo, cioè cambierà la storia, la indirizzerà verso la gioia, verso una Luce nuova», spiega monsignor Vegezzi.
«La salvezza è la realizzazione piena della vita anche adesso su questa terra e Giuseppe – un uomo come noi – ci aiuta ad avvicinarci a Dio e alla felicità a nostra disposizione. Dio, attraverso l’angelo, consegna Maria a San Giuseppe, come Gesù, al termine della sua vita, consegna sua Madre all’apostolo Giovanni».

La nostra Milano, il nostro Duomo
Questa immagine definita «bella», indica che «anche noi tutti, nella nostra semplicità, possiamo essere portatori di grandi eventi, se ci lasciamo illuminare dalla luce che brillerà ancora una volta dalla grotta di Betlemme in questo Natale, nonostante le sofferenze che ancora ci sono nella terra di Gesù. Anche noi possiamo, anzi dobbiamo, diventare portatori di speranza, come ci ha insegnato questo Anno santo».
Tutti, come è evidente, ma anzitutto «voi, in modo particolare – scandisce il Vescovo, rivolgendosi direttamente ai presenti -, siete chiamati a ricordare il canto del gallo che annuncia una nuova luce qui anche nella nostra Milano, che è certamente anche la vostra Milano, nella nostra Cattedrale che è certamente anche la vostra. Ci vogliamo impegnare a manifestare l’amore e la tenerezza di Dio verso tutti, specialmente verso gli ultimi. Siamo chiamati a essere fermento in una società che spesso non riesce più a gustare la bellezza di Dio e a sperimentare la grazia della sua presenza», conclude, richiamando alcune parole di papa Francesco, pronunciate nella Basilica di San Pietro durante la celebrazione di Simbang Gabi di qualche anno fa: «Voi che avete lasciato la vostra terra alla ricerca di un futuro migliore, avete una missione speciale. La vostra fede sia lievito nelle comunità parrocchiali alle quali appartenete oggi. Siamo tutti chiamati ad annunciare assieme il Vangelo, la Buona Novella di salvezza, in tutte le lingue, così da raggiungere più persone possibile».

Infine, è il Console generale, a prendere la parola per salutare e ringraziare, esprimendo l’«orgoglio» suo personale e della comunità, «per essere qui in una delle chiese più importanti del mondo».




