Sulla relazione costante e affettuosa che il cardinale Tettamanzi intrattenne col mondo giovanile riproponiamo una significativa testimonianza diffusa in occasione del suo congedo dalla Diocesi.
Carissimo Arcivescovo, in questi giorni nei quali tutta la Chiesa diocesana esprime la sua gratitudine per i suoi anni di episcopato in mezzo a noi, vorrei unire alle tante voci anche la mia, attraverso una testimonianza piccola e parziale ma per me vera e importante.
Sono uno studente universitario e ho 23 anni. Ricordo ancora di averla incontrata per la prima volta nel maggio 2003, dopo pochi mesi dal suo ingresso in diocesi. Era un sabato pomeriggio e ci trovavamo radunati al Sacro Monte di Varese per il «Cammino quattordicenni» con migliaia di coetanei. Non potrò mai dimenticare la salita a piedi, il panorama stupendo e il clima di preghiera ma anche di grande festa. Sinceramente, a distanza di anni, non riesco a ricordare con precisione il tema dell’incontro e neppure le sue parole; ricordo però che rimasi colpito dall’immediatezza con la quale si rivolse a noi, anche attraverso esempi, immagini e metafore, così pure dalla convinzione e dalla forza con cui comunicava con noi ragazzi, rispondendo alle nostre domande. Infine ricordo un gesto semplice ma molto importante: alla fine dell’incontro, mentre scendevamo e tornavamo a prendere il pullman, incrociammo la sua auto, lei scese e si fermò a stringerci le mani, buttandosi con coraggio in mezzo ad un gruppo di preadolescenti scatenati. Può sembrare banale o forse un po’ eccessivo, ma in quella stretta di mano ho percepito che lei davvero era anche un po’ il mio vescovo e da quel giorno non l’ho più dimenticato.
Gli anni delle superiori sono passati velocemente con momenti altalenanti nel mio cammino di fede. Con il gruppo del mio oratorio partecipavo ogni anno all’incontro degli adolescenti la domenica delle Palme, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù: siamo stati a Saronno, a Milano e a Cernusco sul Naviglio. Anche in questi incontri la sua presenza costituiva per noi motivo di gioia, consolazione e sicurezza; soprattutto mi faceva percepire che noi adolescenti le stavamo a cuore e che stavamo a cuore a tutta la diocesi.
Al termine degli anni delle superiori venne il momento della consegna della Regola di vita. Fu un passaggio difficile e impegnativo perché mi costrinse a un discernimento ordinato e a una sintesi precisa e personale sulla mia vita. Questo passaggio è ancora oggi la tappa più bella e importante del mio cammino di appropriazione della fede ovvero quella «receptio» che precede la «redditio». Dopo tanta preghiera, venne finalmente il giorno della consegna nelle sue mani, nella basilica di Sant’Ambrogio. In quel momento ebbi la percezione chiara di essere accompagnato, attraverso il suo sguardo, dalla paternità della Chiesa che cammina con i suoi figli. Fu per me il secondo incontro personale con lei, in cui mi chiamò anche per nome.
Due anni fa, con il sacerdote che segue la pastorale giovanile nella mia comunità pastorale, decisi di intraprendere il cammino del Gruppo Samuele per fare maggior chiarezza sulla mia vita, scoprire il progetto che Dio aveva su di me e trovare il mio posto nel mondo. Attraverso questa proposta la mia preghiera assunse qualità e spessore, l’accompagnamento personale divenne più puntuale e sincero, il discernimento si fece più intenso e abituale. Attraverso quell’esperienza credo di essere diventato adulto nella fede. Al termine del cammino ricordo la consegna a lei della «lettera di fruttificazione», che contiene le certezze e i desideri più grandi della mia vita. Di quell’occasione ricordo anche le sue parole e l’ascolto attento e prolungato delle nostre testimonianze.
Per tutto questo cammino di crescita, sempre guidato dalla sua presenza e dalla sua parole, voglio dirle grazie! Soprattutto perché, attraverso queste occasioni, non l’ho sentita solo come il vescovo di Milano ma anche come il mio vescovo, colui che mi ha guidato da vicino, mi ha incoraggiato, consolato e spronato a costruire il mio futuro.