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Milano

Sull’esempio di Carlo Bianchi combattere il male con il bene e raddrizzare le cose sbagliate

La figura dell’ingegnere milanese martire della Resistenza al centro della cerimonia di commemorazione al Campo della Gloria, a cui per la prima volta è intervenuto l’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

16 Aprile 2019

La sofferenza per l’incendio di Nôtre-Dame a Parigi e il ricordo dei tanti che, per amore della libertà, della giustizia e della fraternità, sacrificarono la loro vita resistendo al nazifascismo. Si apre con parole di dolore la cerimonia che, in vista del 25 aprile (74° anniversario della Liberazione), fa memoria di partigiani, militari che rifiutarono di aderire alla Repubblica Sociale dopo l’8 settembre, deportati politici ed ebrei. Tutta una città si ritrova al Campo della Gloria nel Cimitero Maggiore, con le sue massime autorità civili, religiose, militari e i responsabili delle associazioni di reduci e partigiani. Tra le corone e le semplici piccole lapidi tutte uguali, ci sono l’Arcivescovo, il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, il sindaco Giuseppe Sala, il prefetto Renato Saccone, il questore Sergio Bracco e anche i ragazzi di tante scuole.

Roberto Cenati, presidente dell’Anpi provinciale di Milano, apre la cerimonia che ricorda in particolare Carlo Bianchi, ucciso con 66 compagni a Fossoli, figura limpidissima di resistente cristiano, cofondatore del giornale clandestino Il Ribelle, presidente della Fuci, ideatore della “Carità dell’Arcivescovo”, ingegnere e padre di famiglia. Proprio la figlia Carla, nata pochi mesi dopo la morte del padre e oggi presidente del “Centro assistenza legale e medica cardinal Schuster” (nata dalla “Carità dell’Arcivescovo”), richiama l’importanza di non dimenticare. Anche perché «venuta meno la memoria di ciò che furono il fascismo e il nazismo vediamo una deriva razzista e xenofoba che si manifesta con frequenza sempre più preoccupante. La memoria è un antidoto per tutto questo», spiega Cenati in riferimento all’oggi. 

Il tributo del Sindaco

Sala definisce un «un tributo necessario» la sua presenza. «L’Italia è un Paese profondamente democratico – continua il Sindaco, invitando a partecipare alla manifestazione del 25 aprile -. La risposta che dobbiamo dare tutti assieme è quella di un Paese democratico che crei lavoro e cultura, che offra modelli di buona politica, capaci di dare risposte concrete alle paure, che restituisca fiducia in una vera partecipazione democratica, che non è quella artificiale dei social network.  Noi crediamo che a Milano, dove con i fatti stiamo dando prova di buona amministrazione perché certe derive rimangano marginali e isolate, non bisogna rispondere alle provocazioni. Bisogna, invece, studiare l’antifascismo, la Resistenza e l’Anpi deve poter entrare nelle scuole. Essere italiano vuol dire rispettare i valori, mentre non sono degni di esserlo individui che farneticano di razze umane, di guerre di religione, di scontri di civiltà, di chiusure. Il fascismo deve essere combattuto anche quando fa sfoggio del suo armamentario di simboli. Non ci stancheremo mai di condannare e di essere qui: se uno accetta di fare il Sindaco di Milano deve sapere che Milano è la città dell’antifascismo, della solidarietà e della tolleranza».

Dopo l’intervento del sottosegretario Alan Rizzi in rappresentanza del presidente della Regione Lombardia, sfilano i ragazzi dell’Istituto comprensivo “Pareto”, che citano alcuni articoli della Costituzione. Gli allievi della Scuola media “Puecher” leggono l’ultima lettera del Martire della Libertà cui è intitolata la loro scuola. I liceali della Scuola Ebraica di Milano riflettono sull’antisemitismo e scandiscono il famigerato Decreto del 1938, che sancì le leggi razziali; ancora altre scolaresche si alternano sul palco.

L’intervento dell’Arcivescovo

È la prima volta che un Pastore di Milano si reca al Campo della Gloria. «Nel mondo e nella società c’è qualcosa di sbagliato, anche se non è tutto sbagliato. Di fronte alle cose sbagliate, alcuni si lamentano, altri si adattano, altri spaccano tutto e reagiscono al male con la violenza», sottolinea l’Arcivescovo, prendendo spunto da Carlo Bianchi, «partigiano antifascista cattolico, che ci dà l’esempio di una serenità e di una fortezza che dominano le passioni e intuiscono la strada da percorrere». Strada che deriva dalla preghiera e dal perdonare. «Bianchi, come Puecher e tanti altri testimoni, hanno affrontato la prova estrema perché sapevano di poter contare sulla potenza e misericordia di Dio. Il modo singolare con cui Carlo Bianchi ha affrontato le cose storte è stato il perdono anche per chi che aveva tradito: lui che non aveva fatto niente di male se non resistere al male». È questa l’«altra strada» «per dire che c’è un modo speciale dei cattolici e di tanti uomini e donne di buona volontà di reagire e di aggiustare il male, che è mettersi a seminare il bene contrastando il male con il bene».

Poi, un altro insegnamento: «Coltivare una cultura che abbia un’interpretazione della convivenza come vocazione alla fraternità e difesa della giustizia. Un programma di vita – non uno scritto, ma una prassi – che Carlo Bianchi ha messo in atto anche con l’avvio della “Carità dell’Arcivescovo” per persone che non potevano accedere alle cure mediche e all’assistenza giuridica, «studiando la Dottrina sociale della Chiesa e guardando al desiderabile futuro di questo Paese che era, allora, drammaticamente diviso e dominato dalla violenza».

La raccomandazione è a resistere alla violenza e all’indifferenza, alla rassegnazione in questo modo: «Sono qui a rendere omaggio a un uomo tra tanti altri uomini e donne di buona volontà, di ogni ispirazione politica e partitica e appartenenza religiosa: quando una cosa è storta è meglio mettere mani all’impresa per raddrizzarla. Prendiamo spunto da quei morti, rendiamo loro giustizia, perché anche noi, per ciò che ci compete, cerchiamo di mettere mano all’impresa. Così vogliamo ricordare coloro che ci hanno dato questa Italia».

L’esortazione del Rabbino

Parole cui fa eco il rabbino Arbib – c’è anche il presidente della Fondazione Memoriale della Shoah Roberto Jarach – che ricorda il valore e l’apporto della Brigata ebraica alla lotta partigiana. «Il problema è fare delle scelte: durante il fascismo ci sono state complicità – e questo è un crimine -, ma poi c’è stata un’ampia fascia della popolazione che ha voltato la faccia dall’altra parte e che ha sottovalutato una cosa allucinante quale fu il nazifascismo. Infine, vi sono stati i resistenti che hanno deciso di intervenire anche a sacrificio della propria esistenza. Grazie a quelle scelte siamo nati noi e un Paese libero. Dobbiamo dire che non tutto è accettabile e legittimo e che ci sono cose che vanno semplicemente combattute. Oggi tendiamo a dire che tutto è relativo, ma non è sempre vero. Per prima cosa è necessario riconoscere che in Europa siamo davanti al rinascere di qualcosa di profondamente preoccupante: l’antisemitismo».

A suggellare la commemorazione, l’accorato intervento di Giuliano Banfi, vicepresidente dell’Aned di Milano.  

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