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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Intervista

Sulla famiglia Italia indietro di quarant’anni

Lavoro poco flessibile, scarso credito sociale, nessun progetto istituzionale, una fragilità preoccupante: l’analisi di Francesco Belletti (Cisf), raccolta sul numero di giugno de «Il Segno»

di Ylenia Spinelli

16 Giugno 2022
Un'immagine dell'Incontro mondiale delle Famiglie svoltosi nel 2012 a Milano

Dal numero di giugno de Il Segno 

Con il X Incontro mondiale delle famiglie a Roma (22-26 giugno), si chiude l’anno che papa Francesco ha voluto dedicare alla famiglia, luogo generativo per eccellenza, culla della vita, casa delle relazioni, palestra di solidarietà e fraternità. «L’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia» si legge nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Una «buona notizia» di speranza e futuro per tutti, credenti e non. Peccato che questa grande risorsa, oggi tanto sbandierata dalla politica, sia stata a lungo dimenticata e sottovalutata dalla società.

Ne parliamo con Francesco Belletti, direttore del Cisf, il Centro internazionale studi famiglia.

Perché la famiglia «costruisce la società» ed è «un valore aggiunto per tutti», per citare il titolo di un suo libro?
Le società con reti familiari solide sono più coese e solidali. Nel nostro Paese, oltre a testimonianze splendide, esiste una fragilità familiare, che è un dato preoccupante, anche da un punto di vista culturale. C’è in atto un processo che sembra sminuire l’importanza della famiglia. Il Rapporto Cisf 2020 mette a tema la società post-familiare, in cui le famiglie si frammentano, scomponendosi e ricomponendosi per dare spazio a relazioni sempre nuove e sempre più individuo-centriche. La società dà scarso credito alle famiglie, anche da un punto di vista bancario è difficile per un giovane ottenere un credito per progettare il proprio futuro. Il matrimonio, sia civile sia religioso, è sempre meno rilevante nelle scelte di vita. La famiglia è considerata nella sua dimensione affettiva ed emotiva, c’è un venir meno di credito pubblico sulla famiglia, serve invece una dimensione progettuale istituzionale.

Forse la politica si è accorta tardi della famiglia, dei suoi problemi e dei suoi bisogni…
Certamente. Nel nostro Paese siamo sfasati di 40 anni. In Francia tra il 1948 e il 1950 si è investito sul quoziente familiare con la tassazione agevolata. Noi abbiamo introdotto da poco l’assegno unico universale per i figli (che ha allargato la platea, ma in alcuni casi è penalizzante e bisognerà fare correzioni) e si è fatto qualche aggiustamento sui congedi parentali dedicando maggiore attenzione a quelli dei padri. L’allarme demografico ha fatto preoccupare la politica, perché non riusciremo più a pagare le pensioni e a prenderci cura degli anziani e delle persone fragili. Non dimentichiamoci che la famiglia è produttrice di cura e salute e, se si sfascia, è un problema.

Cosa fa saltare le famiglie oggi?
La fragilità familiare è legata prima di tutto a motivazioni culturali e psicologiche: c’è un indebolimento del valore della persona dovuto all’individualismo e al consumismo. La crisi familiare è correlata alla crisi della società relazionale. Poi c’è la variabile tempo: le famiglie hanno bisogno di tempo per gestire i rapporti di coppia, i figli, gli anziani e invece il nostro sistema lavoro, poco flessibile, non è a misura di famiglia. Infine la motivazione economica: i nostri giovani hanno bisogno di un lavoro e di uno stipendio certo per poter progettare il loro futuro. Spesso vanno all’estero dove gli si dà più responsabilità e fiducia.

Francesco Belletti

Il Papa ha definito una tragedia l’inverno demografico, ma è solo una questione di numeri?
I numeri bisogna guardarli in faccia e il crollo costante della natalità dice qualcosa di più grosso. Serve una rivoluzione culturale che trasformi il tema puramente demografico della natalità nel valore sottostante, ovvero la generatività, che significa scommettere sulla bellezza della vita e sul futuro. E allora non dobbiamo vedere le persone come competitors e pensare che la nuova vita inquina, porta via lavoro… La generatività, declinata nel mettere al mondo figli, creare relazioni, imprese, rende la società migliore.

I mesi di lockdown hanno riportato al centro le relazioni, quelle fisiche, che i social ci hanno disabituato a coltivare. Ma anche su questo ci sono luci e ombre…
La pandemia è stata un catalizzatore di ciò che c’era già. Chi aveva forti problemi relazionali ha vissuto una situazione dura, spesso nell’invisibilità e così tante coppie sono saltate, tanti adolescenti hanno avuto problemi psicologici. Molti però hanno riscoperto la bellezza dello stare insieme, soprattutto tanti papà hanno potuto trascorrere più tempo con i propri figli, giocare con loro, vederli crescere. Dobbiamo prendere il buono dalla pandemia, favorire lo smart working e una cultura aziendale più flessibile. Anche la Dad andrebbe rivalutata.

L’attenzione del Papa e della Chiesa per la famiglia, in questo speciale anno, porterà i suoi frutti?
Nell’agenda di papa Francesco la famiglia è sempre stata al primo posto. Questo anno particolare ci ha svelato che la Chiesa ha avuto un momento di criticità, non si è fatta investire completamente dalla novità familiare, ma qualcosa si è mosso e si è capito che le famiglie sono generatrici di Chiesa, non chiedono di essere “attenzionate” dalla Chiesa. La Chiesa viene edificata dalla gioia dell’amore che la famiglia sperimenta. La famiglia è davvero una Chiesa domestica. E allora l’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è una «buona notizia» per l’intera società, ben oltre l’esperienza di fede. Vivere la famiglia, essere disponibili a curare e a lasciarsi curare, è qualcosa di profondamente umano e quindi cristiano.