Lasciarsi interrogare sull’autenticità della nostra fede che nasce solo da una conoscenza piena, profonda, stabile e autentica del Signore.
Nella quinta Domenica dell’Avvento ambrosiano, dedicata appunto al Precursore, la figura straordinaria del Battista, proposta dalla pagina evangelica di Giovanni, si fa esempio attualissimo di quell’atteggiamento di testimonianza del quale il mondo di oggi ha urgente bisogno. Tra le navate della Cattedrale sono migliaia i fedeli che partecipano alla Celebrazione preceduta dalla suggestiva elevazione musicale organistica proposta attraverso le musiche di Bach, Perosi e Bossi
Ad animare la liturgia ci sono, questa settimana, l’Azione Cattolica ambrosiana – presenti la presidente Silvia Landra e l’Assistente ecclesiastico generale Monsignor Gianni Zappa – , il Rinnovamento nello Spirito con il Comitato diocesano e l’Assistente regionale don Michele Robusti, l’Agesci con i responsabili zonali, cui si aggiungono gruppi e parrocchie come la Comunità pastorale “San Francesco di Assisi” di Mariano Comense.
A tutti l’Arcivescovo pone, subito, la domanda appunto cruciale, che attiene al tipo di conoscenza che abbiamo di Gesù e se sia autentica «fino ad avere con Lui un rapporto intero, cioè familiare». Ossia quella «conoscenza piena che coinvolge tutta la persona, con i suoi affetti, la sua ragione, la sua azione e che sola è capace di mobilitare la libertà».
La citazione, attraverso cui l’Arcivescovo, esplicita il suo pensiero è tratta dalla più volte richiamata espressione del beato Paolo VI che fin dal 1934, diceva: «Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della cultura contemporanea».
Nel 1934, quando l’organismo ecclesiale italiano era massiccio, quando il peso dei cristiani della società era notevole, come mostrò il dopoguerra, quando la Chiesa contava nel cuore, nota Scola, eppure allora iniziò questo “oblio”, come comprese profeticamente Montini.
Dimenticanza che tuttavia non è stata in grado di cancellare ciò che – suggerisce i Cardinale – è sotto gli occhi di tutti: «che le donne e gli uomini, anche oggi come sempre, sono in attesa, aspettano qualcosa, anzi Qualcuno. In non pochi casi, in modo speciale nelle nostre terre ambrosiane intrise di cristianesimo, manifestando anche se non praticando la nostalgia di Gesù, essi attendono di poter finalmente riconoscerlo come presente qui e ora nella nostra storia carica di travaglio».
Per questo, consapevolmente o inconsapevolmente, tutti desiderano incontrare testimoni del Cristo, donne e uomini credibili come Giovanni. Le parole sono ancora quelle splendide di Paolo VI: “l’uomo di oggi ascolta più volentieri i testimoni che non i maestri, a meno che questi siano anche testimoni”.
Un tema, quello della testimonianza, già presente nelle altre domeniche di Avvento, ma che nel Vangelo di Giovanni (dove ricorre per ben 47 volte) si fa aspetto ineludibile.
Le risposte del Battista ai Leviti su chi lui sia – una in negativo con il rifiuto di essere identificato con il Messia e una in positivo riferendo a se stesso la definizione di Isaia, “io sono voce di uno che grida nel deserto, rendete diritta la via del Signore” –, indicano, allora, come riconoscere il vero testimone senza confonderlo «con una sorta di propagandista di una ideologia tesa a suscitare un’organizzazione di tipo partitico. Come il Battista, il testimone è sempre riconoscibile da un umiltà radicale, con cui “mantiene la distanza” da Colui che annuncia, il Messia. Il testimone non attira l’attenzione su di sé, ma la distoglie e la indirizza su colui cui dà testimonianza».
Atteggiamento, questo, difficile oggi, persino da capire «in questo tempo di individualismo radicale», eppure necessario, che vale per il Messia, «ma tendenzialmente per ogni rapporto che deve riconoscere il vero bene e la dignità dell’altro».
E se, proprio per questa attitudine a fare spazio all’Altro, il testimone, il Precursore accende la speranza di un nuovo inizio, è chiaro quanto sia utile seguirne l’esemplarità.
«C’e tutta una Pastorale dei “rincomincianti” – osserva il Cardinale – che attraverso la nostra umile testimonianza di battezzati può far tornare a riconoscere la potenza fecondatrice del Dio fatto uomo in tanti nostri fratelli». Ma per fare questo, usando le parole del profeta Isaia, occorre “sapienza e intelligenza”, ossia capacità intellettiva della realtà e pratica di governo, “consiglio e fortezza”, capacità di progettazione e di costanza nell’attuazione, “la conoscenza e il timore del Signore”. «Egli ci chiama a prendere parte, nonostante i nostri limiti, a questo elevato stile di vita, come cristiani e come cittadini». Una novità, certamente, difficile, ma che è fonte di una ritrovata pace, di quella ecologia umana senza la quale non esiste nemmeno una duratura ecologia del creato.
«Quando tutti i rapporti, vissuti nell’esperienza storica dell’uomo come contrapposti, saranno ricreati in serena unità, Dio non sarà più uno sconosciuto», conclude l’Arcivescovo.
«È questa la certezza della nostra fede, il cristianesimo, allo stesso tempo, esperienza semplice e vertiginosa, nel quale con iniziative personali e comunitarie, in tutti gli ambienti che frequentiamo, cercare di comunicare, con energica umiltà, la gratitudine per il Signore che viene».
E, alla fine, ancora una raccomandazione: «Aiutiamoci in uno spirito di comunione fraterna, preparandoci così al santo Natale. Invitiamo a tavola chi è nel bisogno, Condividiamo i beni materiali e spirituali, preghiamo per i cristiani che sono perseguitati in Medio Oriente e in Africa, per tutti gli uomini di religione, per i più poveri e per chi è nella prova, accostiamoci al Sacramento della Riconciliazione».