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Terza d’Avvento

Scola: «Siamo tutti in cerca della giustizia e della verità e, quindi, di Dio»

Il cardinale Scola ha presieduto, in un Duomo gremito di migliaia di fedeli, la Celebrazione della III domenica dell’Avvento ambrosiano, dal titolo “le Profezie adempiute” . Milano sappia essere esempio di cattolicesimo popolare, ha detto

di Annamaria BRACCINI

30 Novembre 2014

Siamo in cerca, più o meno consapevolmente, della giustizia che è compimento pieno della propria persona e di tutta l’umana famiglia. Siamo tutti in cerca di quella verità che è, nel suo autentico essere, il Signore.

Prende avvio dalle intense parole del profeta Isaia, nella prima Lettura – «Voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore» -, il cardinale Scola nella sua omelia per la III domenica dell’Avvento ambrosiano. Parole, dice subito, «con cui Dio si rivolge al suo popolo e che sono le stesse con cui si rivolge a noi oggi fino a descrivere il più profondo del nostro cuore, fino a svelare quello che, forse, non sappiamo o non osiamo nemmeno dire», appunto, che e cosa cerchiamo. Interrogativo per cui arrivano a migliaia e migliaia in Duomo nella settimana in cui sono stati specificamente invitati movimenti forti e radicati nel territorio, quali Comunione e Liberazione, i Focolari, Rinascita Cristiana e Regnum Christi, ma ci sono anche gruppi, parrocchie, tra cui la “Sacra Famiglia” di Novate milanese.

La riflessione definisce la necessità del chiedersi cosa sia la giustizia, dunque: «non secondo la fragile misura umana, pur necessaria e inevitabile», ma nella logica della sequela cristiana che significa «il tendere a vivere con autenticità tutte le dimensioni costitutive della persona, con Dio, con gli altri e con se stessi».

Da qui, la strada dell’“umano” ieri come oggi: «Per gli ebrei di più di 2500 anni fa che vivevano il travaglio dell’esilio babilonese, così per noi oggi, che ne stiamo vivendo un altro non poco doloroso, la via maestra che conduce alla giustizia è tornare alle radici della propria fede: il battesimo. Dio stesso ci conduce attraverso la nostra personale storia e quella della famiglia umana a vedere il suo volto, il destino a cui siamo chiamati, se aderiamo a Lui»

Il riferimento è, ovviamente, alla complessa pagina del Vangelo di Giovanni 5, per questa III domenica dal titolo “Le Profezie adempiute”. Gesù è chiamato a giustificare la validità della sua testimonianza e, per far questo, indica le proprie opere: «un criterio di giudizio elementare che ogni uomo tocca con mano ogni giorno, perché molto più che dalle parole noi siamo convinti dai fatti», osserva l’Arcivescovo.

La realtà, i fatti, che «si presentano nudi davanti a noi,che non chiedono il permesso di accadere che, pure, per il solo fatto di accadere, provocano sempre la nostra libertà, perché ci domandano di decidere. «La nostra è una libertà sempre chiamata in causa, mai compiuta una volta per tutte e così sarà sino al giorno del nostro passaggio nella definitività»,

E proprio perché la libertà si compia, sottolinea il Cardinale, aspettiamo l’Avvento del Signore, con quella speranza affidabile che ci è permessa potendo partecipare alla testimonianza di Cristo «non come ragionamenti arzigogolati, non con strategie, ma seguendolo, perché Qualcuno passa attraverso noi, nonostante noi, se siamo almeno capaci di chiedere perdono».

Questa sola è la testimonianza, scandisce Scola, che cita Paolo nella seconda Epistola ai Corinti: “Noi siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono: per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita”.

Un “profumo” di cui farsi portatori nel quotidiano che, per questo diventa l’“eroico” concreto della vita di ogni giorno, che domanda disponibilità totale del cuore. Per questo il Signore «ci vuole poveri, perché povero è colui che vive nello stupore di ciò che Dio fa».

Così, la promessa di Isaia si compie in Gesù e le profezie sono adempiute, attraverso la giustizia di Dio che è la misericordia di Chi perdona “settanta volte sette”, anche se spandiamo odore di morte e non profumo di vita. Per usare un’espressione di papa Francesco “nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile”.

Nasce da questa consapevolezza la consegna del Cardinale a chi ha di fronte in Cattedrale e ai moltissimi che seguono la Celebrazione via televisione, radio e internet: «in questa settimana agiamo gesti concreti di riconciliazione e di perdono verso coloro che avessimo volontariamente o involontariamente offeso. Il primo e più semplice modo per abbandonarci allo sguardo di Dio ed accoglierlo è farne esperienza personale nel sacramento della Riconciliazione».

E, in conclusione, in riferimento all’inizio della settimana che vede la Novena dell’Immacolata, frequentatissima e ormai tradizionale quella in Duomo proposta dalla prelatura dell’Opus Dei, ma «che anche nelle parrocchie e nelle Comunità è un’occasione speciale per approfondire il senso del’Avvento», l’Arcivescovo si rivolge direttamente agli aderenti ai Movimenti presenti.

«Il Santo Padre vi ha ricordato la freschezza del carisma, la libertà delle persone e la ricerca della comunione, tre elementi che ci permettono di ospitare il profumo della famiglia umana. Giochiamoci con forza in prima persona in modo che il cattolicesimo popolare ambrosiano abbia nuovo vigore nel cuore dell’Europa. Il compito di Milano, “Mediolanum”, è, appunto, testimoniare la dimensione popolare del cattolicesimo».

Così il Signore rende
il deserto come l’Eden

Tra i molti tesori custoditi dal Museo del Duomo di Monza vi è anche un gruppo di antichi arazzi che mostrano al centro la figura di Giovanni il Battista, il santo a cui è dedicata la basilica stessa. Si tratta di preziosi e rari manufatti, destinati in origine a coprire le spalliere del coro e i leggii, recentemente restaurati e quindi riscoperti nel loro valore. Giovanni, colui che «era la lampada che arde e risplende» (come testimonia Gesù stesso nella lettura di oggi), è rappresentato in piedi, vestito di peli di cammello e avvolto in un rosso manto: regge una grande croce astile e in mano reca l’agnello cristologico. L’iconografia è quindi quella «classica» del Battista. Ma sono le decorazioni attorno alla sua figura a incuriosirci in modo particolare. Si tratta, infatti, di una fitta ornamentazione vegetale, detta «millefiori», assai in voga nelle tappezzerie rinascimentali, soprattutto a cavallo fra Quattro e Cinquecento, epoca in cui si devono collocare anche questi arazzi monzesi. Leonardo, per esempio, adorna le pareti del suo Cenacolo proprio con simili tessuti. Ebbene, quel fiorire della natura attorno al Precursore appare già come il frutto rigoglioso della Parola di Dio, come il nuovo Eden in cui il Salvatore, nuovo Adamo, conduce l’umanità intera, riscattata dalla morte e dal peccato. E pare già di sentire il «profumo di Cristo» di cui ci parla San Paolo questa domenica, e di vedere il deserto trasformato in giardino annunciato dal profeta Isaia.
Luca Frigerio

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