Il cammino dei Magi come metafora della ricerca di senso che caratterizza, esplicitamente o implicitamente, anche il cammino dell’uomo e delle genti di quest’epoca postmoderna.
Sotto la stella illuminata, che pare vegliare il cuore del Duomo tra le cui navate si ritrovano in migliaia e migliaia di fedeli, e con, ai pedi dell’altare maggiore, la statua del Dio bambino, il cardinale Scola parla del significato dell’Epifania, giorno in cui il Signore si manifesta agli uomini e donne di ogni tempo. «L’offerta universale della luce e della salvezza di Dio in Gesù Cristo che si dà a conoscere ad ogni uomo», come disse esattamente sessant’anni fa il beato Paolo VI, in Cattedrale, per il suo ingresso solenne in Diocesi.
Solennità del 6 gennaio, nella quale la nostra gioia si fa uguale a quella che sperimentarono i Magi, «perché riconosce che il lungo viaggio della vita ha una mèta che muove tutta l’esistenza fin nelle più piccole pieghe della storia della famiglia umana». Giorno pieno di significato, che, richiamando il farsi incontro all’uomo di Dio «nella persona di Gesù Cristo», è per noi, nella tensione a farci, a nostra volta, incontro al Signore, particolarmente utile a definire il senso della testimonianza cristiana, sottolinea l’Arcivescovo.
Chiara, su questo punto cruciale – cui, non a caso, dedica l’intera parte centrale dell’omelia –, la riflessione del Cardinale. «La solennità di oggi si presta a un’importante precisazione che può aiutare i cristiani ad assumere in pieno il compito di testimoni, anche all’interno delle società plurali che caratterizzano soprattutto i Paesi nord occidentali».
A fronte di quella che Scola definisce una sorta di «reticenza, quasi una vergogna – che si nota non raramente anche nelle nostre terre ambrosiane – a proporre in tutti gli ambienti dell’umana esistenza, Gesù Cristo come l’unico salvatore e redentore, contemporaneo alla libertà di ogni uomo e di ogni donna», occorre, infatti, il coraggio di una testimonianza limpida, coraggiosa e, dunque, «non rinunciataria».
Anche perché un simile atteggiamento, suggerisce l’Arcivescovo, porta con sé un’ulteriore insidia, ormai fattasi «diffusa considerazione che la vita della Chiesa sia spesso marcata dalla contrapposizione tra i cosiddetti cristiani tradizionalisti e i cosiddetti innovatori».
Clamoroso esempio di questa mentalità – e il Cardinale lo cita espressamente –, «la lettura del franco e stimolante dibattito» in occasione dell’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre scorso sulla famiglia, per il quale «si è giunti a parlare di divisione tra Vescovi rigoristi, tradizionalisti e lassisti, come se i Padri sinodali fossero impegnati a difendere più le loro idee che non il bene di tutti».
«La solennità di oggi ci aiuta a comprendere che questa contrapposizione, spesso esagerata ad arte dai mass media, dipende, alla fine, proprio dall’incapacità di tenere insieme, da una parte, la natura universale dell’evento di Gesù Cristo, e, dall’altra parte, la libertà invalicabile dei soggetti, personali e sociali, che abitano la società plurale», continua. Se, difatti, Cristo è venuto per tutti, «è logico che i suoi seguaci testimonino e non si stanchino di farlo instancabilmente, una concezione di sé e della propria azione che ritengono valida per tutti gli uomini». Anche perché ogni cristiano sa che lo stile di vita che propone «è praticabile da tutti e non lede affatto la libertà umana comunque essa si situi».
Da qui, una conseguenza evidentissima oggi riassumibile nella formula, “cristiano, agisci secondo la tua fede, ma lascia gli altri di agire secondo le loro convinzioni”, che, seppure politicamente e religiosamente corretta, «se pretende di liquidare la libertà da parte dei sostenitori di qualsivoglia mondovisione di proporre pubblicamente la propria concezione dei beni spirituali e materiali, toglie qualcosa di essenziale al bene comune. Infatti, i soggetti personali e sociali che si autocensurano o vengono impediti di formulare il loro punto di vista privano tutta la società della necessaria ricerca, attraverso un appassionato confronto teso al reciproco riconoscimento, della vita buona per tutti. Neutralizzare la proposta anche di uno solo dei soggetti in campo è svilire il bene comune sociale chiamato a diventare bene politico».
In gioco, come è ovvio, c’è tanto: la ragione di una corretta convivenza e amicizia civica, «che fonda la possibilità di guardare l’altro sempre come soggetto e mai come oggetto» e la valorizzazione di «ogni seme di verità da chiunque provenga, nell’appassionato confronto con tutti; il “libero giudizio critico” sui frangenti storici che l’umanità, di volta in volta, attraversa». E ancora, più radicalmente, si potrebbe aggiungere: «l’espressione dell’amore universale del Dio cristiano», di cui i Magi sono espressione compiuta nella storia, per cui ognuno «deve divenire per l’altro un’occasione di epifanìa, un’occasione di adorare la presenza di Dio in ogni uomo».
In un cristianesimo che è cento per cento di affidamento al Signore e cento per cento di libertà, l’augurio – e non potrebbe essere altrimenti – è quello di tornare a casa, come i Magi, “per un’altra strada” :quella della personale conversione. «Offrirla ai nostri fratelli uomini è il modo più sicuro per non perderla», specie in questo 2015 così importante per ciò che ci attende.
Milano
Scola: «Nessuna vergogna ad annunciare,
in ogni ambiente, la libertà cristiana»
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di Annamaria BRACCINI
6 Gennaio 2015L’omelia alla radio
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