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Seveso

Scola ai nuovi parroci: «Il Ministero è un essere presi a servizio»

Nel Santuario di Seveso il Cardinale ha presieduto la Celebrazione della Parola per l’immissione nell’ufficio di 55 presbiteri che hanno preso possesso canonico della loro nuova parrocchia o sono divenuti responsabili di Comunità pastorale

di Annamaria Braccini

8 Settembre 2017

Un gesto importante, «veramente significativo in termini essenziali, che è un buon auspicio e che dovrebbe anche vedere una presenza di fedeli perché perda ogni rischio di essere ridotto a qualcosa di formale, di estrinseco, mentre è ciò che testifica della nostra obbedienza all’autorità della Chiesa: un modo di spendere la vita».
Dice così il cardinale Scola, amministratore apostolico della Diocesi, ai sacerdoti – per l’esattezza 55 – durante la Celebrazione della Parola per l’Immissione nell’Ufficio di parroco e per l’avvio ufficiale di una Comunità pastorale. Un rito tradizionale all’inizio dell’Anno pastorale, cui sono presenti, tra gli altri, i Vicari di Zona (monsignor Carlo Faccendini, vicario episcopale della I Zona-Milano, è anche uno dei “nuovi” parroci, essendo stato nominato abate della basilica di Sant’Ambrogio) e il Moderator Curiae, monsignor Bruno Marinoni, nella sua attuale veste di “delegato ad omnia” e il cancelliere arcivescovile monsignor Marino Mosconi. È la Celebrazione con cui i presbiteri interessati dai cambiamenti prendono possesso canonico delle realtà parrocchiali o di Comunità pastorale cui sono stati destinati: tra loro anche il segretario del cardinale, monsignor Luciano Capra, che diviene responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret” in Cernusco sul Naviglio.
Spiega Scola, nella sua riflessione: «considero un dono questo gesto, avendo la possibilità di compierlo insieme a un numero nutrito di voi in un’età che è ancora valida e che, quindi, consente di dare la propria vita, come ci chiede il Signore, per la sua Chiesa».
Presso il Santuario “San Pietro Martire” di Seveso – nel contiguo Centro Pastorale Ambrosiano i sacerdoti hanno vissuto giorni di preparazione attraverso gli Esercizi spirituali e la successiva proposta di formazione “Tempo in disparte” – si prega e si ascolta la Parola di Dio nei brani previsti per queste occasioni, il Libro di Geremia, la Prima Lettura di Paolo ai Corinzi e il Vangelo di Giovanni al capitolo 10.
«Il servizio deve essere inteso come un essere “presi a servizio” – il riferimento del Cardinale è alla prediletta espressione di Von Balthasar – che nasce dentro a un rapporto, a un legame costitutivo con un Altro e, nell’incarnazione di Cristo, con la sua Chiesa. Ciò è qualcosa che rende veramente liberi soprattutto nei momenti di fatica, contraddizione, problematici, del nostro errore e nei momenti dell’umiliazione».
Ma Chi è Colui che “prende a servizio”? Il richiamo del Cardinale è al brano giovanneo del “Buon Pastore” che – dice – «ho imparato ad amare leggendo gli appunti di san Giovanni XXIII» quando era Patriarca di Venezia e quindi, predecessore dello stesso Scola, che sottolinea: «Da qui è nata l’idea della indole pastorale del Concilio».
Se Roncalli, approfondendo questo brano, «lavora molto sul nesso Pastore\padre», si rende evidente che tale paternità debba essere fondata sulla conoscenza reciproca, come peraltro dice la Lettura stessa. «Quindi, questo esercizio del Ministero pastorale, questo “essere presi a servizio”, si fonda sul primato di Dio nella nostra giornata, su una fede capace di infondere la presenza di Cristo nell’azione: è il nostro dramma quotidiano che diventa frattura tra la fede e la vita».
Chiara la consegna del Cardinale ai “suoi” preti: «questo essere presi a servizio deve mettere in evidenza la conoscenza originaria che partecipa alla conoscenza che Gesù ha del Padre, e viceversa, e che significa molto di più di conoscenza intellettuale, ma è conoscenza amorosa e volontà del Padre di accompagnarci per tutta la vita: un Padre misericordioso che ci tiene per mano».
Da qui l’augurio di essere, in questa consapevolezza, lieti anche «quando vi saranno passaggi particolarmente difficili che nessuno si augura, ma attraverso i quali il Signore può edificare anche la nostra personalità cristiana».
Poi, dopo la Professione di fede, il Giuramento di fedeltà nell’assumere l’ufficio da esercitare a nome della Chiesa – nel quale i parroci e responsabili di Comunità Pastorali pongono le mani sul Vangelo, invocando l’aiuto del Signore – e la lettura del Decreto di Immissione in possesso.

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