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Varese

Romite ambrosiane, testimoni nella preghiera e nelle opere

L’abbadessa madre Maria Rosella Pedroletti presenta l’esperienza di vita consacrata della famiglia monastica del Sacro Monte, profondamente legata ai riti e alle tradizioni della Chiesa di Milano

di Annamaria Braccini

2 Febbraio 2023

Sono le Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus, più semplicemente Romite ambrosiane, con un nome che esprime per intero la storia, il carisma di questa famiglia monastica e il legame che – fin dalla fondazione del loro monastero, edificato al culmine del Sacro Monte di Varese nel 1474 – unisce queste claustrali «nella vita e nella storia della diocesi ambrosiana», come dice l’abbadessa, madre Maria Rosella Pedroletti.

Come si manifesta il carattere ambrosiano della vostra esperienza monastica?
Si qualifica, in particolare modo, nella celebrazione della liturgia secondo il Rito e il calendario liturgico della Chiesa di Milano, nella custodia e nella pratica del canto ambrosiano e nel riferimento costante alla figura e al magistero del grande vescovo Ambrogio. Siamo così legate al nostro Arcivescovo, a tutti i sacerdoti e a tutti i fedeli ambrosiani da un sincero affetto, da un ascolto attento alle indicazioni pastorali e da una conoscenza diretta delle persone che ci viene anche dall’essere collocate accanto a un Santuario mariano molto amato dai pellegrini milanesi.

Come si compone la vostra Comunità?
Attualmente conta 27 sorelle, di cui tre ancora in formazione. Proveniamo quasi tutte da parrocchie della nostra diocesi e le presenze sono molto variegate per età ed esperienze di vita precedenti all’ingresso in monastero.

La preghiera è il riferimento costante di ogni giornata?
La nostra vita comunitaria nasce nel solco dell’esperienza eremitica delle beate Caterina e Giuliana, nostre fondatrici, e alterna armoniosamente la dimensione corale e quella personale della preghiera. Quest’ultima trova particolare espressione nella consuetudine di trascorrere l’intero pomeriggio del venerdì nella solitudine della cella, contemplando il mistero pasquale del Signore e intercedendo in lui e con lui per tutti i bisogni della Chiesa e dei fratelli. Sempre nello spirito eremitico si inserisce la possibilità di trascorrere qualche giorno di preghiera solitaria in un piccolo romitaggio edificato all’interno delle mura della clausura.

Vi dedicate anche a qualche forma di lavoro?
Attualmente ci dedichiamo alla cura della casa e delle persone, in particolare delle nostre sorelle anziane. Non manca, comunque, chi è impegnata nella gestione dell’orto, nella produzione di yogurt e formaggi lavorati con il latte della nostra stalla per il consumo della nostra comunità, e chi studia il patrimonio documentario di cui è ricco il nostro archivio. Abbiamo anche chi si dedica al restauro di opere pittoriche e scultoree nel nostro laboratorio di restauro.

Siete aperte all’ospitalità?
Dalle nostre fondatrici raccogliamo la preziosa eredità dell’ospitalità da loro praticata nel soccorso ai pellegrini e oggi declinata in uno spazio di accoglienza, annesso al monastero, in cui è possibile sostare per qualche ora o per qualche giorno. In questi ultimi anni la nostra ospitalità si è attivata in modo particolare per offrire ai giovani uno spazio di incontro, confronto e crescita nella fede, in collaborazione con il Servizio diocesano di Pastorale giovanile.

Siete attive anche in rete…
Proprio per essere vicine ai giovani, specie nei tempi di lockdown, è stata preziosa la possibilità di essere presenti in rete: un sito internet e l’attivazione di una newsletter ci permettono di mantenere molti contatti con chi è lontano, per esempio i missionari o chi, per qualsiasi motivo, non può raggiungerci.

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