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Rito della Nivola. «Pace e riconciliazione sono parole cancellate»

L’Arcivescovo ha presieduto i Vespri e il Rito della Nivola. «Hanno cancellato dal vocabolario dell’umanità le parole che avrei voluto dire, che la Chiesa di Dio vorrebbe dire»

di Annamaria BRACCINI

13 Settembre 2025
Mons. Mario Delpini presiede la celebrazione dei Vespri e del Rito della Nivola (Agenzia Fotogramma)

Nella Festa liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, che ricorre il 14 settembre, all’inizio del Triduo, il Santo chiodo torna, come ogni anno (in questo 2025 è la vigilia precisa della Festa), con i Vesperi primi aperti dal Rito della luce, sull’altare maggiore del Duomo per la venerazione dei fedeli.

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Il Santo chiodo

Il Santo chiodo, la reliquia più preziosa della nostra Chiesa, simbolo della Passione attraverso la concretezza del chiodo della croce di Cristo, la cui presenza è attestata fin dal 1263 nella Basilica di Santa Tecla e, in Duomo, dal 1461: Reliquia particolarmente cara a san Carlo, come a tutti i suoi successori, che stretta tra le mani dall’Arcivescovo, “scende” dalla sua consueta collocazione, posta a 42 metri di altezza sulla sommità della volta absidale, dove è segnalata da una luce rossa e dove verrà riposta lunedì 15 settembre, al termine del Triduo, nella “Messa Capitolare infra Vesperas”.

Mons. Mario Delpini nel corso delle celebrazioni (Agenzia Fotogramma)

Momenti – questi – tra i più particolari e suggestivi dell’intero anno liturgico, anche per il mezzo con il quale l’Arcivescovo raggiunge il Santo chiodo, ridiscendendo con la reliquia inserita nella croce in legno dorato: la Nivola. Quella sorta di ascensore a forma di nuvola – “nivola”, in dialetto -, che qualcuno (specie nei secoli scorsi) attribuiva a Leonardo da Vinci, ma che, con molta più ragione, si deve ritenere dovuta ad architetti dell’entourage del Borromeo. Nivola arricchita dalle pitture su tele di Paolo Camillo Landriani e da statue lignee, risalente, nella sua forma attuale, al 1624 oggi azionata da un duplice argano meccanico, ma un tempo mossa a forza di braccia -, che ascende dalla Cappella feriale della Cattedrale dove trovano posto, come tradizione, i Canonici del Capitolo metropolitano con l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo e alcuni fedeli, tra cui tanti chierichetti e gli appartenenti alla Confraternita di San Carlo Borromeo provenienti da Lugano.

Mentre l’antico marchingegno sale lentamente verso il Santo chiodo, vengono proclamati brani dei Vangeli della Passione e, nella discesa, si cantano le Litanie dei Patriarchi, dei Profeti, dei Confessori e dei Martiri. Una liturgia solenne accompagna ogni momento del Rito, con l’esposizione del Santo chiodo poco prima che l’Arcivescovo pronunci l’omelia con quelle parole, forti e dolorose che risuonano tra le navate della Cattedrale gremite.

Il primo pensiero è ancora una volta rivolto alla pace.

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Le parole indicibili

Mons. Mario Delpini

«Mi hanno zittito, hanno cancellato le parole che avrei voluto dire. Avremmo voluto dire: “pace”;ma mi hanno detto: “Non dire pace, perché in questo momento vorrebbe dire consigliare ai deboli di rassegnarsi alla prepotenza dei forti”. Avremmo voluto dire: “giustizia”, ma mi hanno detto: “Non dire giustizia, perché tutti quelli che stanno facendo la guerra, uccidendo la gente e distruggendo la terra, sono convinti di fare una cosa giusta”».

E così per la “verità”, che è indicibile «perché non abita più sulla terra» e per parole come trattative e diplomazia”. “Non dire diplomazia: si deve dire ‘deterrenza’ e ‘riarmo’ perché le condizioni per trattare devono essere quelle di fare paura”».

«Avremmo voluto dire: “perdono”ma mi hanno guardato con un sorriso di compatimento come si guardano i bambini ingenui al catechismo – e riconciliazione”», ma sono state sostituite da «“risarcimento evendetta perché non possono stare allo stesso tavolo chi ha ucciso tuo figlio e chi ha subito la morte di un figlio, chi ha distrutto la casa e chi l’ha avuta distrutta».

Ossia, scandisce l’Arcivescovo, «hanno cancellato dal vocabolario dell’umanità le parole che avrei voluto dire, che la Chiesa di Dio vorrebbe dire».

Che fare, dunque? «Rimasti senza parole, non ci resta che stare lì, sotto la croce, per dare compimento alle Scritture dove tutto è ridotto al silenzio e si dice solo: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Non ci resta che aprire la porta, come il discepolo amato: “E da quell’ora l’accolse con sé, come si dice di Maria, della Chiesa, dell’umanità. Rimasti senza parole non ci resta che stare lì, sotto la croce, per ricevere in consegna lo Spirito, sotto la croce, perché dal fianco trafitto uscì sangue e acqua, vita e amore, alleanza nuova ed eterna».

Infine, il canto del “Magnificat”, la commemorazione del battesimo, le intercessioni e il Padre Nostro e la benedizione impartita dal vescovo Delpini con la croce contenente la reliquia esposta, alla venerazione dei fedeli.  

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