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Ricordo

Ravasi: «Quelle domeniche con padre Turoldo, tra fede e poesia»

A trent’anni dalla morte del frate servita (6 febbraio 1992), pubblichiamo uno stralcio della premessa del Cardinale al suo volume dedicato ai Salmi. In San Carlo al Corso inizia un anno di eventi in sua memoria. In allegato un messaggio dell'Arcivescovo

del cardinale Gianfranco RAVASI

6 Febbraio 2022
Padre David Maria Turoldo

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo uno stralcio della premessa del cardinale Gianfranco Ravasi al volume di David Maria Turoldo I canti nuovi. I Salmi, traduzione poetica e commento (San Paolo, 752 pagine, 28 euro).06

Nel pomeriggio di ogni domenica scendeva dalla sua abbazia di Sotto il Monte, il luogo di nascita di Giovanni XXIII, a casa dei miei familiari a Osnago (Lecco), ove io mi recavo, dal Seminario in cui insegnavo, per il mio impegno pastorale del fine settimana. Ed era in quelle ore che parlavamo a lungo, che egli mi leggeva i suoi testi, che accoglieva con un’umiltà assoluta anche le mie riserve, che ci si inoltrava lungo i sentieri di altri libri biblici che io allora stavo commentando, come Qohelet e il Cantico dei cantici, destinati a diventare materia di altre sue riflessioni o poesie.

Di quei pomeriggi, che mi resero padre David amico e interlocutore intimo, c’è una testimonianza curiosa che è anche la “sorpresa” estrema che egli volle farmi. Infatti alla sua ardua opera postuma, edita da Rizzoli nel 1992, Il dramma è Dio, aveva apposto una lettera a me destinata, ma che aveva voluto rimanesse segreta fino al momento della pubblicazione del libro. La lessi, perciò, quando ricevetti l’opera stampata ed egli era morto da un paio di mesi. Eccone il testo, datato «Festa dell’Ascensione 1991».

Il card. Gianfranco Ravasi

«Gianfranco, mi perdonerai di chiamarti sempre così: amico delle mie – delle nostre – domeniche. È per riconoscenza di questa amicizia e di quei nostri conversari, nell’atrio della tua casa, smentendo che quella sia l’ora del “demone meridiano” (tanta invece era la serenità e la gioia di quei nostri amati colloqui); è per sdebitarmi, dico, del dono di una così ricca amicizia che ora ti dedico questo lavoro… convinto che mi perdonerai di aver osato apparire come un invasore del tuo campo biblico. Ma tu sai che non è vero. Tu più di altri sai con quanto timore e tremore mi accosto a questi abissi; e quanto mi conforta il rispetto verso di voi, insostituibili interpreti. È poi noto che scrivo soprattutto per gli amici…; per gli amici antichi, quelli della resistenza per l’“Uomo”: presenze che sempre evoco nelle mie dediche, al fine di continuare appunto a “resistere”».

Turoldo_I canti nuovi
La copertina del volume

Da queste righe emerge in modo nitido il nesso intimo tra amicizia e fede, tra dialogo e ricerca sulla Parola di Dio, tra poesia e confessione. Proprio come aveva scritto in modo lapidario nella prefazione al saggio Il grande male il suo amico Carlo Bo: «Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». E si potrebbe aggiungere «in tutti i luoghi», dalle zolle della sua nativa Coderno in Friuli fino nei sotterranei della lotta antifascista, tra gli echi delle volte del Duomo di Milano, ma anche nella familiarità calda di Nomadelfia, dall’Annunziata di Firenze a Santa Maria delle Grazie a Udine, dal monte Berico al Senario, dall’amatissimo ritiro per nulla eremitico di Sotto il Monte alle sale, alle aule, alle piazze vocianti, dai luoghi di un esilio forzato indotto dalle autorità ecclesiastiche, come il Canada lontano e sterminato o l’Austria, la Baviera, la Svizzera, l’Inghilterra e persino gli Stati Uniti, fino ai piccoli centri, fino appunto al villaggio bergamasco o pugliese. La sua figura imponente e sanguigna («questo vichingo», come lo soprannominarono i Fiorentini), dalla quale fuoriusciva una voce da cattedrale o da deserto, vanamente temperata dall’invincibile sorriso degli occhi chiari, aveva proprio nella Parola biblica il suo alimento vitale.

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