Sono donne e bambini e arrivano dall’Eritrea. È questa la nuova presenza di profughi nelle strutture di accoglienza milanesi. Scappano dalla guerra, come le famiglie siriane, come gli eritrei arrivati nei mesi scorsi prima di loro. E se le cronache di questi giorni abbondano di servizi sulla situazione in Stazione Centrale, dove molte persone rimangono a dormire a causa del “tutto esaurito” nelle strutture di accoglienza, chi lavora da tempo coi profughi sa che quello a cui stiamo assistendo è uno scenario inedito. «Da maggio la situazione si è intensificata – spiega Annamaria Lodi, presidente della cooperativa Farsi Prossimo -. Da qualche giorno a Casa Suraya non riusciamo ad accogliere più nessuno, la struttura è piena di famiglie siriane ed eritree: ci sono anche 40 bambini. Allo stato attuale delle cose non possiamo accogliere nuovi arrivi».
Il miglioramento delle condizioni climatiche ha consentito ai barconi di partire. Chi arriva in Italia e sfugge all’identificazione da parte della polizia riesce, in modo fortuito e rocambolesco, a essere accolto in Germania e Svezia, dove le comunità siriane ed eritree sono strutturate e radicate. Ma la sospensione temporanea del Trattato di Schengen in Germania per intensificare le misure di sicurezza in coincidenza del G7 e l’inasprimento alle frontiere dei Paesi vicini hanno creato una situazione inedita per chi spera di andare in Nord Europa: anche affidandosi ai passeur, che chiedono soldi in cambio dell’arrivo a nord senza incappare nei controlli (e quindi lucrano sulle tragedie di queste persone), i profughi tornano indietro. «Se prima rimanevano qualche giorno in Italia – spiega ancora Lodi -, ora gli ospiti ci dicono che non riescono a passare più, soprattutto al Brennero».
Ma qual è la situazione a Casa Suraya, che proprio in questi giorni compie il suo primo anno di vita? «Il clima è molto tranquillo – prosegue Lodi -. Ma le donne eritree, sole e con molti bambini piccoli, sono provate da mesi di viaggio».
Ovviamente la difficoltà nel lasciare l’Italia influisce sul morale: «I siriani sono i più scoraggiati: alcuni sono riusciti a raggiungere la Svezia, ma altri familiari sono ancora qui. Nei giorni scorsi una signora abbastanza anziana, la cui famiglia è già andata a nord, ha cercato di partire, ma è tornata indietro”. Di certo le cose sarebbero ben diverse se l’Unione Europea si dimostrasse finalmente sensibile ad aprire un corridoio umanitario per lasciar passare i profughi: «Invece l’Ue sembra aver fatto un passo indietro. Eppure questa dovrebbe essere una priorità. È un esodo biblico, un’emergenza umanitaria: sono persone che scappano dalla guerra da troppi anni, non si può andare avanti così».
Negli ultimi giorni a Milano sono state prese importanti decisioni: in Stazione Centrale è arrivata una unità mobile della Asl per visitare i profughi, Grandi Stazioni si è detta finalmente disponibile ad allestire un locale in via Sammartini per questi arrivi, consentendo di abbandonare il mezzanino: «Ormai l’Accordo di Dublino, che obbligava i richiedenti asilo a fermarsi nel posto in cui arrivavano, è superato dai fatti. Paesi come la Svezia stanno accogliendo persone non identificate senza chiedersi da dove arrivano (sapendolo perfettamente). Bisogna ribadire che delle 62 mila persone transitate lo scorso anno a Milano solo 270 si sono fermate. E gli arrivi del 2015 sono un numero più alto di quelli del 2014, alla prima metà di giugno…».
Milano è dunque la porta per l’Europa: «È difficile immaginare che possano transitare altrove – aggiunge ancora Lodi -: da qui, infatti, c’è il maggior numero di treni per l’estero». E così in quest’anno e mezzo la città ha avuto il cuore in mano, ha offerto ai profughi la possibilità che il passaggio fosse anche un’occasione di riposo e ristoro: «La generosità continua: anche in questi giorni a Casa Suraya arrivano pannolini per i bambini e vestiti». La Casa ha una convenzione con la Prefettura e in questi giorni sta rinnovando quella col Comune, bloccata per un ritardo del Ministero.
E che cosa dire, infine, a chi nutre pregiudizi nei confronti dei profughi e li manifesta? «Forse dovrebbero guardarli negli occhi per capire chi sono».