È dotato di una spiccata ironia, l’Arcivescovo di Boston, Sean O’Malley. Inizia a parlare in un ottimo italiano e chiede scusa al Manzoni. Cita padre Raniero Cantalamessa e “gioca” dicendo di non essere lui. Ricorda i suoi inizi da vescovo e poi entra subito nella parte forte della sua testimonianza: come l’Arcidiocesi di Boston ha saputo tornare a essere luogo di evangelizzazione dopo l’emersione alla luce della terribile serie di abusi sessuali compiuti da sacerdoti su bambini e giovani avvenuta all’inizio del Duemila.
O’Malley viene nominato Arcivescovo a gennaio 2002. «Il mio compito – racconta – era quello di condurre la ricostruzione della Chiesa di Boston dopo gli scandali degli abusi sessuali: negli ultimi otto anni mi sono impegnato in questo e oggi proverò a condividerlo con voi».
La sfiducia, la delusione e poi la rabbia: di fronte a quell’orrore, tante persone allora si allontanarono dalla Chiesa. Il rischio che la Chiesa allora morisse era altissimo: «Oggi Boston è considerata la città più cattolica per i battesimi. Ma con una visione laica del mondo. A Boston, all’inizio del secolo, sono state molte le sfide per l’evangelizzazione. Perché i cattolici hanno messo in dubbio la loro fede o hanno smesso di praticarla del tutto, molti erano in imbarazzo per la loro appartenenza alla stessa Chiesa che aveva coperto gli abusi. Non sapevano cosa dire. Molte persone venivano derise per la loro fede cattolica dalla cultura contemporanea». Ma proprio in quel momento, di profondo buio, la diocesi di Boston ha colto l’occasione per rinascere: «È stato per me privilegio e una fonte di grande umiltà incontrare centinaia di vittime di abusi e i loro amici – riconosce il cardinale americano -. Alcuni dei momenti più toccanti sono stati quelli in cui ho incontrato le famiglie che hanno perso vittime di abusi per suicidi o per overdose».
Toccare con mano questa sofferenza incredibile convinse O’Malley della necessità di dover agire presto. Prima di tutto con una tolleranza-zero che segnasse una discontinuità rispetto al passato: «Abbiamo insegnato a segnalare abusi sospetti, abbiamo impedito che i sacerdoti colpevoli di abusi potessero esercitare ancora il ministero» e nello stesso tempo «guardavamo al futuro con la speranza che Dio ci avrebbe aiutato a superare la crisi».
Uno degli effetti degli scandali è stata la demoralizzazione del clero. Il Cardinale di Boston continua a spendersi direttamente su questo, nel segno della fraternità: «una volta alla settimana, con i sacerdoti ordinati negli ultimi cinque anni, faccio un’ora di adorazione, condivido un pasto, una conversazione sulla teologia pastorale». Per favorire la fraternità sono state create «Canoniche regionali dei sacerdoti, perché nessuno viva da solo. Cosi si aiutano a vicenda».
Massima trasparenza sulle questioni finanziarie: «Una voragine di debiti ha travolto la diocesi dopo gli scandali sessuali. La scelta è stata quella di tirare fuori le cifre, non nascondere nulla. Con l’operazione di trasparenza finanziaria abbiamo riguadagnato a poco a poco la fiducia dei fedeli, che non facevano donazioni». A ogni livello sono state ricostruite le strutture ecclesiali: «Abbiamo cercato di formare dirigenti parrocchiali in modo efficace. L’evangelizzatore è efficace se si è stati evangelizzati». E non solo dentro la struttura propriamente ecclesiale: «Abbiamo creato associazioni di studenti cattolici, come la Focus: Fellowship of Catholic university student. Abbiamo ammesso anche cappellani laici».
Alla rinascita ha contribuito anche la messa a punto di una buona comunicazione: «Bisogna essere creativi e coraggiosi nell’evangelizzazione. Altrimenti, nel momento in cui la società sta diventando secolare, rischiamo il rifiuto. Nel 2006 abbiamo deciso di lanciare un blog con i miei collaboratori. Ero perplesso. Invece nella prima settimana ci sono stati 3 milioni di clic. Il blog ci permette di condividere esperienze che possono incoraggiare l’evangelizzazione». E O’Malley ha uno degli account twitter più seguiti tra i Cardinali. «I social media ci hanno dato una grande opportunità di testimoniare, condividere, meditare – dice -. Un prete può dire prima della messa ai fedeli: “Dite che siete a messa”. I social media ci hanno permesso di condividere contenuti con un basso budget. E incoraggiare la conversione: i credenti non sono consumatori della fede, ma discepoli”.
Nelle parole di O’Malley c’è spazio anche per il toccante racconto sui migranti: «Boston è una Chiesa di migranti: ma se una volta i sacerdoti arrivavano con loro oggi non è così. Un terzo della popolazione di Boston è nata all’estero. L’immigrazione oggi insegna a ogni cattolico di scegliere tra essere buon samaritano o voltare le spalle».
La conclusione è un invito a essere, Milano come Boston, una Chiesa in missione: «Dobbiamo diventare una squadra di missionari passando dalla semplice conservazione alla missione. Siamo stati creati per la fraternità: per l’amicizia con Gesù e amore per i nostri fratelli e sorelle».