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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Vocazioni

Nuovi diaconi, storie di vita e di fede

Luca (già professionista in ambito finanziario), Amilkar (passato attraverso diversi lavori prima di entrare in Seminario) e Chadrack (diventato cattolico dopo essere stato battezzato in un’altra Chiesa) raccontano il cammino che li ha condotti all’ordinazione

di Ylenia SPINELLI

4 Ottobre 2024

Ha 35 anni ed è il maggiore della classe dei candidati diocesani al diaconato. Luca Crespi ha alle spalle gli studi classici, una laurea triennale in Economia con specializzazione in Comunicazione e Marketing e cinque anni di libera professione come consulente finanziario. «Un lavoro di relazione, a contatto con la gente – spiega- che ha affinato la mia capacità di empatia e ascolto, mi ha aperto gli orizzonti e suscitato tante domande, compresa quella vocazionale».

Luca Crespi

Il Triduo «illuminante»

Luca ha sempre frequentato l’oratorio ed è cresciuto nella parrocchia di Santo Stefano a Nerviano, dove ha fatto l’educatore dei giovani e ha partecipato a un mandato nel Consiglio pastorale. «Tre esperienze semplici, suggeritemi dal mio parroco, mi hanno poi fatto prendere la decisione di entrare in Seminario: il volontariato in carcere, il volontario al Parco di Monza durante la visita del Papa e soprattutto la partecipazione alla proposta della Pastorale giovanile “Farò la Pasqua da te”». Quel Triduo vissuto con la comunità dei seminaristi è stato per lui l’evento «più illuminante».

Gli anni trascorsi a Venegono si sono rivelati arricchenti sotto tanti punti di vista. «La presenza di due compagni del Sud Sudan come Gilbert, che proseguirà gli studi a Roma, e Chadrack, che verrà ordinato diacono con noi (se ne parla sotto, ndr) – racconta – ha dato un tocco più universale e missionario al nostro cammino di formazione verso il sacerdozio. Con Chadrack, poi, io ho vissuto un anno di pastorale a Seregno. Siamo stati gomito a gomito e abbiamo avuto l’opportunità di conoscerci meglio».

In questi giorni che lo separano dall’ordinazione Luca si sente «felicemente sereno» e accompagnato anche dalla famiglia che lo sostiene con discrezione: «In un tempo in cui il mondo e tanti miei coetanei si aggrappano a verità che non portano da nessuna parte, io vorrei poter annunciare che ce n’è una a cui vale la pena affidare la propria vita: la Verità che è Gesù».

Naranjo Ramirez Amilkar Steven

«Il Signore mi ha travolto»

Quella di Naranjo Ramirez Amilkar Steven è davvero una bella storia vocazionale: perché finisce bene e perché capace di provare ciascuno di noi.

Tutto comincia a Guayaquil, seconda città più importante dell’Equador, precisamente nel cantone Daule, dove Amilkar è nato 32 anni fa. Dall’età di 8 anni cresce con i nonni materni, in un ambiente cattolico, perché la mamma e quello che lui chiama papà vengono in Italia a cercare lavoro e un avvenire migliore.

Amilkar fa il chierichetto, frequenta il catechismo e riceve la Comunione nella sua parrocchia, quella del Señor de los Milagros. «Avevo detto a mio nonna che da grande avrei fatto il prete», racconta, ma poi, come capita a molti giovani, ha avuto una crisi esistenziale e si è allontanato dalla Chiesa.

Decide di lasciare il suo Paese e di raggiungere la mamma a Merate, anche se con lei ha un rapporto conflittuale. «Mi sono sentito abbandonato dai miei genitori e ho incolpato Dio», confessa il ragazzo che in Italia riprende gli studi, ma poi in terza superiore abbandona la scuola. «Volevo lavorare e avere soldi in tasca, così ho fatto di tutto: l’operaio, il muratore, il commesso, il cassiere… – racconta Amilkar -. Ma quello che guadagnavo lo spendevo tutte le sere in discoteca e in una vita sregolata che chissà dove mi avrebbe portato, se non avessi ritrovato il Signore». All’epoca per lui quella era l’unica vita possibile, ma qualcosa iniziava a muoversi dentro, tante domande affollavano la sua mente e il cuore.

Un giorno del 2013 decide di partecipare a un ritiro spirituale organizzato da un movimento cattolico di origini portoricane, conosciuto dalla mamma tramite la Cappellania dei Migranti di Santo Stefano a Milano, che aveva iniziato a frequentare soprattutto per la Messa domenicale in spagnolo. «Il Signore mi ha travolto, continua a travolgermi e sono sicuro che mi travolgerà ancora», racconta.

Il primo giorno a quel ritiro gli era stato chiesto di rispondere su un foglio alla domanda «Chi sei?», ma quel foglio è rimasto bianco. «Non mi riconoscevo in nulla – aggiunge Amilkar -. Sentivo nel cuore un vuoto, come quando lanci un sasso in un pozzo senza acqua». Poi, nei giorni seguenti, stando in adorazione davanti al Santissimo e ascoltando le testimonianze, avviene il miracolo, come lui lo definisce, che si riassume nelle parole: «Prendi la mia croce e seguimi».

Amilkar si riavvicina alla mamma e alla Chiesa. A quella che allora era la Cappellania dei migranti conosce don Quadri e don Vitali e con loro inizia un discernimento, poi frequenta i francescani di Monza. «Sembrava che Dio non mi lasciasse in pace, continuava a lanciarmi messaggi», ammette. Un giorno don Vitali lo accompagna in Seminario: «L’imponente struttura di Venegono mi è parsa un palazzo principesco, io mi sentivo un migrante, uno straniero, non pensavo mi accettassero».

E invece, dopo altri anni di discernimento, nel 2018 entra in Seminario. «Qui, grazie ai preti che mi hanno sostenuto nei momenti di difficoltà, ho compreso la mia vocazione e ho trovato la risposta che cercavo: sono un figlio di Dio».

Decisivo un missionario

Chadrack è cresciuto a Maper, a ottanta chilometri da Rumbek, in Sud Sudan. Nel suo villaggio la maggior parte della popolazione è protestante. Lui stesso è stato battezzato in quella Chiesa, poi a 10 anni ha conosciuto un missionario cattolico indiano che l’ha avvicinato a Gesù. Comincia così la storia vocazionale di questo ragazzo, entrato nel Seminario minore del suo Paese. «L’ammissione non è stata semplice, perché la mia famiglia è poco credente, ma alla fine mi hanno accettato – racconta -. Poi ho frequentato il Seminario maggiore di San Paolo Apostolo, l’unico presente in tutto il Sudan».

Nel 2019 arriva la proposta del Vescovo di proseguire gli studi teologici in Italia, insieme a un altro seminarista sudanese, attraverso Propaganda Fide. «A Venegono non è stato facile ricominciare il Seminario da capo e in una nuova lingua, l’italiano, che non conoscevo per nulla – ammette -. Non è stato semplice adattarmi al clima e al cibo. A rendere ancora più difficili le cose ci si è messo pure il Covid. Fortunatamente, con il passare degli anni e terminata la pandemia, mi sono ambientato. Devo ringraziare i miei compagni che mi hanno aiutato a studiare e accompagnato sin qui. Dopo l’ordinazione partirò per il Sud Sudan. Ho l’aereo l’8 ottobre. Nel mio Paese l’anno prima dell’ordinazione sacerdotale è dedicato alla pastorale in parrocchia».