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Milano

L’Arcivescovo alle universitarie: «Annunciate l’umanesimo della speranza e custodite la cultura»

Dialogo con le studentesse ospiti del Marianum, collegio della Cattolica: «Dovete sentire la responsabilità che avete una missione da compiere per l’umanità»

di Annamaria Braccini

31 Marzo 2022
Foto Nanni Fontana

«Servono persone che sappiano coltivare la cultura, dire il bene comune perché l’Università non è un tempio in cui si fabbricano diplomi, ma il luogo nel quale si affrontano le domande, si custodiscono le memorie e si elabora senso critico. Potendo avere accesso a strumenti culturali di livello come quelli che vi sono offerti, dovete sentire la responsabilità che avete una missione da compiere per l’umanità. Ci vogliono donne e uomini capaci di non essere autoreferenziali». Nell’aula magna dove sono riunite oltre 100 ragazze – la quasi totalità delle 153 ospiti del Marianum, il collegio universitario femminile della Cattolica -, è questa la consegna dell’Arcivescovo alle studentesse che, con lui, dialogano su «Il complesso cantiere dell’intercultura. Il dialogo tra i popoli, unico strumento di pace».

Ernesto Preziosi (foto Nanni Fontana)
Ernesto Preziosi (foto Nanni Fontana)

La mostra dedicata ad Armida Barelli

Presenti il direttore dei Rapporti con le Istituzioni culturali e territoriali per l’Ateneo Ernesto Preziosi, la direttrice del Collegio Maria Grazia Fiorentini e l’assistente ecclesiastico don Giorgio Begni, la serata si articola in un serrato confronto tra sette domande e altrettante risposte dell’Arcivescovo che, appena giunto al Marianum, visita la mostra permanente «La voce di Ida. L’impegno di Armida Barelli nelle pagine di Squilli di Risurrezione». Una rassegna in 22 pannelli arricchiti da fotografie e testi, allestita in varie sale del Collegio con riproduzioni anastatiche di pagine della testata fondata da Armida Barelli nell’autunno del 1920, quale rivista mensile autonoma della Gioventù Femminile (gli originali sono stati rinvenuti e recuperati in una parrocchia pugliese). In vista della beatificazione del 30 aprile, un bel modo per raccontare «la sorella maggiore», alla cui volontà si deve anche la nascita del Marianum nel 1938.

L'intervento dell'Arcivescovo (foto Nanni Fontana)
L’intervento dell’Arcivescovo (foto Nanni Fontana)

L’intercultura e l’universalità cattolica

Si parte, naturalmente, dal concetto di intercultura da interpretare – spiega l’Arcivescovo -, «non solo come un contesto multiculturale in cui si realizza l’aggregarsi di mondi che vivono separati in ghetti, ma come percezione di pluralità». Così come oggi accade a ogni bimbo che frequenta le nostre scuole. Ma se «a quella età lo spirito critico non è così importante, occorre, poi, appropriarsi di una posizione critica, che non appiattisca il contesto, ma esalti le differenze, partendo dalle domande».

E qui l’Arcivescovo Mario è chiarissimo: «Ciò che unisce non è avere la stessa risposta, assimilare i doveri di un buon cittadino globalizzato che è in sostanza il buon consumatore, perché l’appiattimento della globalizzazione politically correct e funzionale al sistema ha definito l’idea che il pianeta sia solo un grande mercato. Voi frequentate l’Università per passare dall’assimilazione acritica alla domanda che chiama uomini e donne alla dignità e al vero umanesimo. Il pericolo dell’omologazione è evidente specie nei social, ma la verità viene dal cammino comune».  

Una studentessa chiede cosa significhi l’aggettivo cattolico: «Significa universale, ma è una qualificazione ecclesiastica identitaria che diventa, talvolta, divisiva. L’audacia dei fondatori dell’Ateneo era quella di una resistenza, perché sapevano che i cattolici non potevano entrare in politica, ma che potevano comunque produrre cultura, reagendo a una sorta di minorità intellettuale. Tuttavia cattolico vuole dire la destinazione universale di un messaggio che si identifica con una missione: portare il Vangelo predicandolo a ogni creatura. Questa è l’inculturazione della fede che non significa costringere alla conversione, ma seminare speranza. Questa è l’audacia richiesta a noi cristiani in questo tempo, contro l’idea che l’altro sia un pericolo, un nemico e un sospetto. La coerenza con colui che ci manda dice che siamo in debito del Vangelo verso gli altri, e che, per questo, siamo disponibili anche al martirio».

Il dialogo interreligioso e la pace

Ovvio il riferimento alla guerra e a come le Chiese si pongano, all’interno di un orizzonte di dialogo tra le fedi, rispetto al conflitto in atto. Dice l’Arcivescovo: «Non è semplice perché c’è un modo di vivere la religione come un sistema, che, pur avendo la sua proprietà di dogmi, diviene funzionale al potere. Nell’antico si riteneva che se la Chiesa era divisiva, l’unità dell’impero fosse più fragile e, quindi, Costantino concepì il cristianesimo come supporto all’unità dell’impero. Così, però, anche la religione diventa elemento di divisione e un’ispirazione all’aggressione. Credo che la difficoltà di parte della Chiesa ortodossa a condannare le scelte di Putin dipenda anche tale funzionalità al potere».

Ma vi è poi «un altro modo: considerare le religioni come ciò che introduce al rapporto con Dio, dove le fedi fanno silenzio lasciando parlare il Signore. Un silenzio che consente a tutti di ascoltare Dio. Questo percorso può essere un principio di comunione perché non è l’affermazione puntigliosa della propria identità, ma la strada verso Dio».

E, ancora, vi è la modalità pratica dell’impegnarsi nelle buone opere, come l’attenzione all’ecologia o alla fame nel mondo che può farci incontrare senza discutere sulla dogmatica, potenzialmente divisiva. Due percorsi «di direzione pratica o mistica» definiti dal Vescovo «entrambi promettenti, a patto che vi sia chi voglia impegnarsi».

«Voi siete donne che potete coltivare l’umanesimo della speranza. Io mi fido della generazione giovanile, perché siete il principio di novità e l’energia vitale per guardare al domani. Per questo è interessante la figura di Armida Barelli, che è riuscita a segnare un’epoca: perché, come la storia insegna, è l’intensità con cui ciascuno crede alla sua vocazione che fa fare passi avanti. Possiamo trovare punti di riferimento religioso come il Papa, il vescovi, le autorità che vivono nell’Università, ma questo non esonera dalla responsabilità personale di coltivare il proprio metro quadro di terreno. Una minoranza convinta e disponibile a pagare il prezzo dei propri ideali può cambiare la storia»

L’esempio è proprio l’Università Cattolica, «che non è nata da tutti i cattolici italiani, ma da un piccolo gruppo che ha dato vita a un sogno e ha pagato il prezzo di un nuovo rinascimento. Un umanesimo della speranza ha bisogno di uno stile, quello non della costrizione, ma di Gesù, la presenza significativa che attrae. Il modo con cui la verità si è proposta non è l’imposizione o la potenza organizzativa, ma l’attrattiva dell’amore».

Custodire la cultura

Infine, il ruolo della Chiesa e il tragico flusso di profughi dall’Ucraina. «La Chiesa concreta che è qui in Italia – nota l’Arcivescovo – è sempre più coinvolta e deve organizzare il più possibile l’accoglienza delle persone, ma questo si presta a una sorta di ambiguità perché le Istituzioni pubbliche si fidano di noi, ad esempio della Caritas, ma il rischio è quello di ridurre la Chiesa a essere un rimedio per qualche problema del momento. La Chiesa è coinvolta perché non può sottrarsi alla compassione e all’accoglienza, ma la sua prima missione è quella di aiutare a entrare in comunione con Dio. Sistemare materialmente i profughi è necessario, ma non può bastare: occorre dare loro condizioni adatte per pregare, per vivere con dignità. Noi chiediamoci solo cosa mangeranno, ma come faranno Pasqua, loro che sono un popolo così profondamente religioso. Guardate insieme verso un meta attraente e partite, così potrete unire le forze ed essere protagoniste dentro il metro quadro rappresentato dal Marianum. Verrà il giorno in cu ricostruiremo i teatri o i musei distrutti, ma dobbiamo sentire l’appello che ora ci viene rivolto: custodire la cultura».