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Milano

L’Arcivescovo al Corpus Domini: «Costruire una città che sia dimora della speranza»

Ha assunto il tono e il significato di un Discorso di Sant'Ambrogio, l'omelia rivolta a circa 2500 fedeli riuniti all'Arena Civica, dove si è conclusa la processione eucaristica seguita alla Messa in Santa Maria del Carmine

di Annamaria BRACCINI

21 Giugno 2019

«Ascoltatevi, accoglietevi, camminate insieme: ascoltate la vocazione che il Padre vi rivolge a essere fratelli e sorelle», nella «città intraprendente e creativa in mille progetti e smarrita nella direzione promettente e sul fine ultimo». È l’auspicio che l’Arcivescovo rivolge idealmente a tutti e a tutta la metropoli, presiedendo l’Eucaristia e guidando poi la processione nella solennità del Corpus Domini, celebrata di giovedì, secondo il Rito ambrosiano, per le vie del centro storico di Milano.

Tra le navate della chiesa di Santa Maria del Carmine, gremita di persone di tutte le età (che si affollano fin sul sagrato), concelebrano i Vescovi ausiliari, i Vicari episcopali di Zona e di Settore, i Canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale. Ci sono i Diaconi permanenti, i Ministri straordinari della Comunione eucaristica, i religiosi, le suore, i gruppi liturgici parrocchiali, i membri dei Consigli pastorali, delle Confraternite e degli Ordini cavallereschi, i rappresentanti dei Terzi Ordini. Non mancano i gonfaloni del Comune – rappresentato dall’assessore all’Educazione e Istruzione Laura Galimberti -, della Città metropolitana (con la vicepresidente del Consiglio comunale Beatrice Uguccioni), della Regione Lombardia, di associazioni religiose e civili, del volontariato, delle articolazioni ecclesiali.

Uno spaccato della Chiesa dalle genti

In apertura della Messa padre René Manenti, parroco di Santa Maria del Carmine (che è anche parrocchia personale di San Carlo per le Comunità di lingua inglese e sede europea degli Scalabriniani), salutando l’Arcivescovo, dice: «Ti accogliamo con gioia in questa comunità che è un piccolo spaccato della Chiesa dalle genti». Chiesa fatta di tante etnie, come si rende evidente nella seconda Lettura, proclamata in inglese, o all’Offertorio con i doni portati all’altare dalle ragazzine dello Sri Lanka che indossano le loro antiche vesti etniche. Insomma, un intero popolo che si mette simbolicamente e concretamente in cammino, seguendo l’Eucaristia, portata tra le mani dal Vescovo nel prezioso ostensorio ambrosiano a forma di tempietto, lungo la processione che si snoda, all’ombra del Castello Sforzesco, da Santa Maria del Carmine all’Arena Civica “Gianni Brera”. Davvero l’immagine e l’impressione che si percepiscono sono quelle cui dà voce il titolo della celebrazione e della Lettera pastorale 2018-2019, Cresce lungo il cammino il suo vigore, con le parole del Salmo 83(84).

In cinque tappe, tra canti, invocazioni, preghiera, ascolto della Parola di Dio, le riflessioni sui Salmi dei Padri della Chiesa, brani di San Giovanni Paolo II e papa Francesco, e seguendo l’indicazione dell’Arcivescovo Mario a riscoprire la preghiera dei Salmi, è appunto una frase del Salmo 81 – “Se il mio popolo mi ascoltasse” -, a ispirare l’omelia, proposta a circa 2500 fedeli che trovano posto ai piedi della storica Palazzina Appiani dell’Arena. Spazio civile e allusivo di quella alleanza tra le istituzioni in vista del bene comune, in cui risuona l’appello del Pastore della Chiesa di Milano, quasi fosse un piccolo, e insolitamente estivo, Discorso alla Città.  

L’omelia dell’Arcivescovo

Guidati «dalle parole della sapienza e della preghiera antica», l’invito è ad ascoltare la voce di Dio, nella «città amata, benedetta, generosa, città colta, esperta in ogni scienza, audace in ogni pensiero. Città intraprendente e creativa in mille progetti e smarrita nella direzione promettente e sul fine ultimo. Che anche tu, Santa Chiesa di Dio, possa sperimentare la gioia di un’unità più profonda. Che anche tu, città nostra e di tutti, possa sperimentare la gioia e il desiderio del convivere fraterno, tu che sei arcipelago di competenze, di solitudini, di fierezze e di miserie, di intraprendenza e di concorrenza, di alleanze e di contrapposizioni. Ascoltatevi, accoglietevi, camminate insieme».

Una speranza che l’Arcivescovo declina esplicitamente, citando alcune categorie che sono sinonimo dell’eccellenza di Milano nel mondo: «Gli architetti, gli ingegneri, i creatori di arredi, di interni e di esterni, che cosa possono imparare se ascoltano i poveri, i giovani, gli anziani? Forse nascerebbero quartieri lenti, propizi all’incontro, forse tornerebbero i bambini. I ricercatori delle frontiere avanzate della medicina, della genetica, delle neuroscienze, i gestori della sanità pubblica e privata, che cosa possono imparare dai preti, dalle suore, dalle badanti, da tutti coloro che raccolgono il gemito dei malati e le loro angosce? Forse si inventerebbero ospedali abitati dalla pazienza insieme con la scienza, dal prendersi cura oltre che dalle cure». E ancora, «i banchieri, i finanzieri, gli operatori della borsa, le forze dell’ordine, che cosa potrebbero imparare ascoltando i commercianti e gli imprenditori, le famiglie e i disperati oppressi dai debiti e dalle insolvenze? Forse si inventerebbe una terapia per l’avidità, un argine alle imprese velleitarie, un incoraggiamento alla sobrietà, una sosta per quella ambizione che mette il profitto al di sopra di tutto».

Tornano le parole-chiave dei Discorsi alla Città 2017 e 2018: «Gli amministratori dei condomini, le associazioni professionali, i sindacalisti degli inquilini, le associazioni dei consumatori, che cosa imparano se ascoltano coloro che non sanno esprimersi, che non sanno dire le loro ragioni? Forse si potrebbe sperimentare la pratica del buon vicinato, della prossimità spicciola e benevola, forse nei cortili tornerebbero a giocare i bambini. Gli artisti, gli insegnanti, i giornalisti, gli uomini di cultura, i poeti che cosa possono imparare dagli assistenti sociali, dagli operatori della carità? Forse si potrebbe imparare una lingua di parole buone, di discorsi che siano come carezze, di notizie che siano come buone ragioni per aver fiducia nell’umanità. Forse ci sarebbero parole di speranza per distogliere i giovani dallo sperpero della giovinezza e per orientare tutti a vivere la vita come vocazione. Gli stilisti, la gente della moda e dello spettacolo, i pubblicitari che cosa possono imparare visitando i quartieri squinternati, interrogando lo squallore e il degrado? Forse si potrebbe condividere il messaggio della bellezza e la cura per un ambiente all’altezza della dignità della persona e un’autorizzazione ad avere stima di sé».

Per questo – suggerisce il Vescovo – «abbiamo percorso alcune strade di questa città nostra e di tutti, offrendo all’adorazione il Sacramento della Pasqua, perché vogliamo condividere l’esperienza di essere perdonati, la grazia di avere una speranza di redenzione e di salvezza. Vorremmo costruire insieme una città che sia come una dimora della speranza, non solo una organizzazione della convivenza. Vorremmo costruire una città che sia cammino, non solo residenza rassicurante. Vorremmo costruire una città che sia preghiera, non solo progetto e calcolo. Vorremmo essere testimoni di una speranza di vita eterna e non solo dell’aspettativa di tempi migliori», conclude l’Arcivescovo, prima della benedizione con il Santissimo Sacramento.