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Il caso

«La rissa di Seregno chiama tutti in causa»

Durante una partita di calcio tra bambini, incidenti tra i genitori provocano il grave ferimento di un dirigente. Nota di don Marelli (responsabile degli oratori cittadini), incontro online del Csi il 29 giugno

di Mauro COLOMBO

22 Giugno 2023
Giovanissimi impegnati in una partita di un torneo Csi

Un’azione di gioco, come tante durante una partita di calcio. In campo, all’oratorio di Sant’Ambrogio a Seregno, ci sono la Polis SGP2 e il Muggiò, squadre formate da bambini di 8 anni. In tribuna, tra i genitori, inizia a volare qualche parola di troppo e il tutto degenera in rissa. Un dirigente della Polis, 45 anni, interviene per placare gli animi, ma viene colpito con un calcio alla schiena. Cade a terra, tra le panchine di cemento. Rientrato a casa, dopo qualche ora comincia ad accusare forti dolori. Ricoverato in ospedale, viene operato d’urgenza per gravi lesioni alla milza e a un rene: l’intervento gli salva la prima, non il secondo, che deve essere asportato. È in corso un’inchiesta per individuare il responsabile dell’accaduto.

Marelli: «Responsabilità generale»

«Dobbiamo sentirci tutti un po’ responsabili», dichiara in una nota alla comunità brianzola don Samuele Marelli, responsabile degli Oratori di Seregno e consulente ecclesiastico di alcune squadre (tra cui la stessa Polis). «Ci sono responsabilità personali che andranno accertate e la giustizia farà il suo corso – premette -. Ma non si tratta semplicemente di isolare i cattivi dal resto dei buoni. Neppure si deve cedere alla tentazione di pensare che esistano società sportive impeccabili e altre malate, così come genitori sempre corretti e altri delinquenti».

Marelli richiama l’attenzione generale su una questione «più complessa», che chiama tutti in causa: «I fatti gravi di questi giorni non vengono purtroppo dal nulla, ma costituiscono il tragico epilogo di un clima generale di cui tutti dobbiamo sentirci responsabili, ciascuno per quello che compete al suo ruolo».

La conclusione è perentoria: «Dobbiamo fare di più e meglio perché si comprenda che lo sport è uno strumento educativo e non può diventare un pretesto per la violenza». E allora, «anche per rispetto di chi è rimasto gravemente ferito», l’episodio può diventare «occasione per comprendere che dobbiamo sentirci tutti un po’ responsabili, non certo dell’atto singolo, ma del clima che lo ha generato».

Achini: «Invertire la rotta»

Non si giocava per un torneo ufficiale del Csi. «Ma le due società sportive coinvolte erano nostre», rileva Massimo Achini, presidente del Comitato milanese dell’ente di promozione sportiva, che confessa di essere «basito» di fronte a un episodio «folle e incomprensibile, che non ha paragoni».

Manifestando vicinanza alla famiglia del dirigente e alla società sportiva, Achini ammette: «Non siamo sorpresi, perché sappiamo che è difficile trasformare una partita in una vera esperienza educativa, e anche che dopo la pandemia tutto è diventato più difficile. Però siamo preoccupati. Comportamenti esagitati del pubblico, allenatori e dirigenti che inveiscono contro l’arbitro, tensione, esasperazione… C’è una scia di maleducazione e violenza che inizia a preoccuparci. Si fatica a vedere con chiarezza quello stile educativo che deve accompagnare ogni nostra partita». E la sua preoccupazione è condivisa da più di un dirigente.

Abituato a dar seguito alle parole con i fatti, Achini raccoglie la sfida: «Dobbiamo subito invertire la rotta». E per farlo convoca presidenti, dirigenti e allenatori a un incontro online su Zoom giovedì 29 giugno, alle 21, dal titolo «Troppa tensione sui campi: cosa fare e come intervenire?». Senza pensare a ricette magiche o a soluzioni immediate, «vogliamo confrontarci, condividere, anche sfogarci, se serve, e iniziare a mettere sul tavolo qualche idea».

«I nostri campionati e la nostra attività sono “sane” e gli episodi di bellezza sono mille volte superiori a quelli di tensione – conclude -. Ma gli episodi “storti” iniziano a essere un po’ troppi e allora vogliamo affrontare il tema guardandolo negli occhi, senza aspettare. E vogliamo farlo insieme».