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Cremona

«La croce di Cristo libera da tutte le croci frutto di morte e di peccato»

Il principio di speranza cristiana, contro un sapere contemporaneo che irride la risurrezione, al centro della «Lectio magistralis» dell’Arcivescovo per l’avvio alla proposta quaresimale dell’Università Cattolica

di Annamaria Braccini

2 Marzo 2022

«La croce di Cristo, quale croce della liberazione dal peccato e dalla morte, esige la liberazione di tutte le croci frutto di morte e di peccato. La sequela di Cristo crocifisso non potrà mai essere accettazione passiva del male presente». È una Lectio magistralis di alto profilo intellettuale e, insieme, di indicazione semplice su come vivere quotidianamente la nostra esperienza cristiana, quella che l’Arcivescovo pronuncia nella sede dell’Università Cattolica di Cremona (qui il testo integrale). Titolo della comunicazione rivolta a studenti, docenti, personale e ospiti, riuniti nel giorno del mercoledì delle ceneri nell’aula magna dell’Ateneo e collegati a distanza in diretta, «Abbracciare il mistero della Croce entro il sapere contemporaneo» (qui il programma completo).

Dopo il saluto introduttivo di Mauro Balordi, direttore della sede di Piacenza-Cremona della Cattolica – che ricorda come all’incontro «siano presenti tutte le componenti della Comunità universitaria» – prende brevemente la parola Emanuele Ascolese, allievo del III anno della Facoltà Economia e Giurisprudenza, che parla «di un momento particolarmente adatto per uno sguardo profondo con cui guardare alla vita e al mondo nel quale vogliamo vivere. Ci aiuti – aggiunge, rivolgendosi direttamente all’Arcivescovo – ad accendere e mantenere vivo il fuoco educativo al quale ha fatto riferimento il Papa nel suo messaggio per l’inaugurazione dell’Anno accademico 2021-2022».

Il sapere contemporaneo

Da un’interpretazione «seppure schematica», del sapere contemporaneo si avvia la Lectio. «Un sapere fatto di tante risposte e analisi che hanno mostrato la loro fragilità già nei mesi e nei giorni della tragedia pandemica e che, oggi, nel divampare di un conflitto così aggressivo, sconcertante porta a dubitare della ragionevolezza dell’umanità e di coloro che hanno la responsabilità». Un sapere «abitato da una scienza triste e arrogante secondo il quale il nostro organismo complesso, con alcune parti che si possono aggiustare e altre cambiare, è comunque destinato a finire nel nulla, per cui non ci si può permettere di essere felici, vista la precarietà di cui siamo segnati».  

Insomma, quel sapere dei sapienti che suggerisce «la cura per non soffrire e per resistere all’angoscia inguaribile: ignorare le domande senza risposte, rassegnarsi, limitando il desiderio ai prodotti disponibili come l’allegria e la vita tranquilla, non la gioia che non è sul mercato. Nei territori del sapere contemporaneo abita una economia obbligatoria che parla con il linguaggio dei numeri, delle statistiche, delle curve e delle proiezioni del mercato. Non conosce i nomi delle persone, conosce però i gusti, i capricci, le disponibilità di spese. Non distingue il bene e il male, ma piuttosto chi compra e chi vende, non sa nulla del buon cittadino, sa tutto del consumatore».

La sapienza della croce

Eppure, è proprio nella storia che si è «si è incarnato Gesù, che offrendo ragioni alla speranza, è stato, perciò, giudicato e condannato come un bestemmiatore, un folle, un sovversivo contro l’unico re, Cesare. In un frammento di storia, del tempo e dello spazio, è avvenuto un evento che è pietra di inciampo di scandalo e di contestazione insopportabile delle aspettative degli esperti di religione e di filosofia». Duemila anni fa, come testimonia la drammatica contrapposizione narrata da Paolo nel primo capitolo della Lettera ai Corinti, come oggi. «Talvolta la sensibilità contemporanea – osserva infatti l’Arcivescovo – astrae dalla vicenda di Gesù e si rivolge a un Dio immaginario con cui siamo arrabbiati perché non risponde alle nostre aspettative. Tante delle nostre parole si smarriscono di fronte all’inimmaginabile enigma, ma noi entriamo nel mistero solo attraverso questo frammento di storia, che è il modo di intendere la verità e di ragionare sulle domande. Il fatto scandaloso è la morte in croce dichiarata da Gesù via della salvezza e confermata dal Padre con la sua risurrezione: lo scandalo è che proprio da questa croce vi sia l’accesso alla salvezza. Gesù non considera la morte come una sconfitta della sua missione, ma il compimento, come dice nell’ultima parola sulla croce».

Compassione e servizio  

È la croce, quindi, che annuncia l’essenziale del messaggio cristiano: l’uomo non è destinato al nulla, ma a vivere della vita di Dio. «Questa vita è un dono che Dio fa tramite Gesù, il quale dice, io sono la via, la verità, la vita. Chi crede in me ha la vita eterna».

Questo è l’essenziale che può arrivare a costruire l’umanesimo cristiano: in un frammento di storia risuona una parola che rivela il senso di tutto, anche della scienza e dell’economia «come di tutti gli ambiti del sapere che possono trovare un criterio di giudizio che contribuisca a quell’ecologia integrale che orienta pensieri, risorse, conoscenze, tecnologia alla promozione dell’umanità e all’edificazione di una società fraterna e solidale». Appunto perché, contro un sapere contemporaneo che irride la risurrezione e censura la morte, esiste un principio di speranza. 

Su ogni cosa, dunque, sta il giudizio della croce, «non come un principio astratto da cui dedurre le conseguenze, «ma come una rivelazione alla quale attingere luce» e la sapientia crucis «che non è solo un sapere, un principio interpretativo e critico, ma una via da percorrere, uno stile di vita. Non sappiamo dare risposte al male, al dolore innocente, ma sappiamo che, sempre in ogni sofferenza, possiamo vedere l’amore. Non è Cristo che determina alcuni eventi, che vuole il nostro male, ma è Lui che ci dimostra come viverli».  

Da qui la conclusione. «Chiamati a introdursi nel mistero della conformazione a Gesù, prende forma un popolo che percorre la storia, tra contraddizioni e peccati, eppure determinato a scegliere la via della compassione, della misericordia, del servizio. Il segno della Chiesa è frutto di una chiamata personale che diventa una convocazione, nasce così un popolo e una Chiesa che abita la storia e percorre il tempo per rendere accessibile la potenza che salva. Una Chiesa chiamata ad amare come Gesù ha amato, una sequela che determina il senso del presente e il fondamento della speranza. Così i discepoli inquietano, contestano, aprono vie di speranza per tutti».

A chiudere la mattinata il Vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni che, in riferimento al mirino del fucili, in queste ore così presente nelle immagini che fanno il giro del mondo, indica, per contrapposizione, la necessità di «mirare con uno sguardo mirato e ammirato alla realtà redenta dal Signore con la differenza che fa la croce».