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Testimonianza

«Il diaconato, un dono per le nostre famiglie e per la Chiesa»

Maurizio Giuseppe Bianchi si fa portavoce degli altri quattro diaconi permanenti che con lui saranno ordinati il 4 novembre in Duomo: «Siamo chiamati a incontrare gli uomini e le donne ovunque si trovino, per ascoltare, accompagnare, soffrire e gioire insieme»

di Ylenia SPINELLI

29 Ottobre 2017

Sabato 4 novembre, solennità di San Carlo Borromeo, nel Pontificale in Duomo alle 9.30 l’arcivescovo Mario Delpini ordinerà cinque nuovi diaconi permanenti: Maurizio Giuseppe Bianchi, sposato con tre figli e residente a Milano; Davide Canepa, sposato con quattro figli, originario di Genova, ma residente a Merate (Lecco); Tullio Maria Gaggioli, sposato con tre figli, residente a Busto Arsizio (Varese), Stefano Pozzati, di Nerviano, sposato con due figli; Alessandro Volpi, di Milano, sposato con due figli.

Per tutti e cinque fondamentale è stata la presenza consapevole e affettuosa delle rispettive consorti, sia nel cammino di formazione, sia in questi giorni che separano dall’ordinazione. «Non si tratta di un semplice assenso – dice Bianchi, facendosi portavoce dei suoi compagni -, ma di un forte coinvolgimento che, se reciprocamente coltivato tra moglie e marito, dà molto frutto, sia nella relazione coniugale, sia nella comunità cristiana. Il diaconato è innanzitutto un dono per gli sposi e la loro famiglia e, nella misura in cui tale dono sarà vissuto nella Chiesa domestica, tanto più potrà esserlo per l’intera Chiesa locale».

I figli dei cinque diaconi – tutti tra gli 11 e i 28 anni – hanno ascoltato con interesse quanto avveniva lungo il percorso di preparazione, anche se la società “liquida” a cui appartengono in questi giorni li terrà impegnati in altri pensieri e occupazioni. «Penso che i nostri figli saranno quelli emotivamente più coinvolti dalla celebrazione dell’ordinazione – aggiunge Bianchi – anche se, come tutti i loro coetanei, vivono con intensità il presente, senza proiettarsi nell’immediato futuro». Un futuro che per i diaconi si declinerà nel servizio, in comunione con la Chiesa e in risposta ai concreti bisogni del territorio, sempre seguendo Gesù. Proprio per questo hanno deciso di farsi accompagnare dal versetto di Giovanni che recita «Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi». Il motto è una cosa sola con l’immagine, il mosaico di Rupnik che raffigura Gesù intento a lavare i piedi degli apostoli nell’Ultima Cena, e sintetizza l’essenzialità del carisma di un diacono.

«Noi scegliamo di servire, obbedendo al nostro Arcivescovo, sentendoci una parte umile dell’intero corpo ecclesiale – spiega Bianchi – per questo vorremmo essere espressione della debolezza umana e, al tempo stesso, della potenza dello Spirito. Vorremmo vivere e respirare al ritmo della Grazia, consapevoli che siamo chiamati a incontrare gli uomini e le donne ovunque si trovino. Vorremmo innanzitutto ascoltare, stare accanto, accompagnare, soffrire e gioire insieme».

Nel cammino di preparazione tutti e cinque sono stati affascinati dalla figura di don Carlo Gnocchi, sacerdote ambrosiano che ha fatto della carità la sua ragione di vita. «Abbiamo ascoltato uno dei postulatori della causa di beatificazione e ci è parso che il sentire di questo Beato fosse molto vicino al nostro», racconta il diacono, citando il passo di una lettera che don Gnocchi scrisse nel 1942 a un amico, stampata anche sull’immaginetta dell’ordinazione: «L’unica ricchezza che tutti possediamo e che possiamo donare è quella di voler bene. Poi il fare del bene diventa una necessità e una dolcezza… Tutto il resto, credilo, sono parole e passano».

Come candidato, a Bianchi è stato chiesto di fare attività pastorale nel carcere di San Vittore, un’esperienza che ha fortemente segnato il suo cammino: «Ho scoperto che il male attraversa non solo chi lo riceve, ma anche chi lo compie – racconta -. Le persone che ho incontrato sono molto sofferenti e la loro vita risulta bloccata, come in un fotogramma, che non potrà andare né avanti, né indietro, salvo riconciliarsi con loro stessi e la loro vittima. È l’esperienza del pentimento e della richiesta di perdono. Tappe importanti anche in un cammino diaconale».

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