La conclusione della trattativa per il nuovo contratto di lavoro per i sacristi, siglato il 21 gennaio scorso a Roma, offre l’occasione per una riflessione.
La riduzione delle risorse di personale e di mezzi economici, il complicarsi della normativa, una diffusa preoccupazione per la custodia dell’Eucaristia e delle opere d’arte che abbelliscono le chiese, induce spesso nella tentazione di tenere le chiese chiuse per gran parte della giornata. Una chiesa aperta è un invito alla preghiera. Forse l’impressione condivisa è che la gente del nostro tempo può vivere anche senza pregare: la fretta, la superficialità, una sorta di imbarazzo che induce a censurare il tema e la pratica della preghiera sembrano indurre molti a passare oltre i tempi e i luoghi della preghiera senza badarci.
Ma la comunità cristiana guarda la gente non come individui che attraversano di corsa la piazza davanti alla chiesa, ma come fratelli e sorelle che il Padre che sta nei cieli chiama con pazienza e delicatezza, con affetto e tenacia. Pertanto credo che ogni comunità cristiana desideri che le chiese siano aperte e accoglienti, ordinate e silenziose, predisposte cioè a aiutare la preghiera anche nei momenti in cui non ci sono celebrazioni comunitarie.
Se le risorse di una comunità possono consentire la presenza di un sacrista professionale, questo può essere una benedizione: la sua presenza nelle ore del giorno è la parola di benvenuto per chi entra a pregare, è la premura perché la chiesa sia ordinata, la venerazione verso i santi si esprima in modo adeguato, è la vigilanza che dissuade ladruncoli e vandali.
Molte parrocchie non possono permettersi l’assunzione di un dipendente in più con funzione di sacrista: questo significa allora che molte chiese sono destinate a restare chiuse? Il desiderio di incoraggiare alla preghiera dovrebbe tradursi nel desiderio di invitare a entrare in chiesa, dove la presenza dell’eucaristia, i segni liturgici, la disponibilità del Lezionario, le immagini dei santi e la struttura architettonica creano un contesto che aiuta il raccoglimento e i segni che orientano i sentimenti e le parole della preghiera. Ma questo desiderio generico dovrebbe diventare disponibilità concreta perché si facciano avanti volontari disponibili ad aprire e chiudere la chiesa, a essere presenti per la preghiera personale e per proposte di preghiera di gruppo anche quando non fosse possibile la presenza del prete.
So che sono molti, in tutta la diocesi, i volontari che si prestano con generosità anche per questo servizio prezioso. L’Unione Diocesana Sacristi si offre come strumento per la formazione di sacristi professionali e volontari: la cura per la chiesa, la preparazione delle celebrazioni, l’accompagnamento dell’azione liturgica chiedono anche conoscenze e attenzioni che non si improvvisano, anche se la formazione non è solo per imparare qualche nome e qualche gesto, ma soprattutto per entrare nel mistero che si celebra con più consapevole attenzione e aiutare anche gli altri a pregare e celebrare bene.
Pertanto invito a custodire il desiderio di preghiera, a propiziare che le chiese siano aperte e accoglienti, sicure e ordinate, e a curare la formazione di coloro che si fanno carico della funzionalità e della vigilanza desiderabili.