«Tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al Vescovo, principalmente nella Chiesa cattedrale». Così, a proposito della cattedrale, si esprime il Concilio Vaticano secondo, con una locuzione tanto sobria da sembrare avara. I Concili – è noto – devono fare i conti anche coi teologi, sempre molto attenti a far sì che non si ecceda nell’avvalorare gli edifici di pietra e non si dimentichi che il vero tempio della Nuova Alleanza è la comunità dei fedeli radunati nel nome di Cristo.
Il cuore semplice dei credenti non ha di queste paure, perché intuisce e sa che tutto nel progetto del Padre è compaginato e ricondotto all’unità, e l’esaltazione dei segni non intriga, ma agevola la comprensione della vera e assoluta ricchezza di Dio.
Così, da sempre e in ogni città, i cristiani hanno voluto che la chiesa del vescovo fosse la più bella e la più grande, e nella sua elevazione e ammirazione hanno alimentato la gioia di appartenere alla santa Chiesa cattolica e la volontà di rinsaldare la comunione fraterna sotto la guida di colui che serba e mantiene vivo e operante il carisma dell’apostolo.
Anzi, dovunque fosse stata costruita la cattedrale, la città, per così dire, la inseguiva, le si ricomponeva attorno, accomodandosi in cerchio e rinserrando la casa di Dio nell’abbraccio delle molte case degli uomini, quasi a voler esprimere visivamente che dalla vita in Cristo, comunicata nella appartenenza ecclesiale, tutta l’esistenza umana deriva impulso e significazione. L’immagine facile e consueta del cuore si impone: le nostre città senza cattedrale sarebbero un organismo senza cuore.
Questo discorso, che è appropriato per tutte le cattedrali, è particolarmente persuasivo per la nostra. Milano è tutta accentrata sul suo Duomo. Neppure le successive esplosioni edilizie di questi ultimi cento anni hanno potuto alterare la natura concentrica della città. Al tempo folle del miracolo economico si è tentato di dare vita ad altri «centri direzionali», lontani dalla Madonnina; una volta realizzati ci si è avveduti che restavano irrimediabilmente dei centri… periferici e avevano una certa aria di giganti sperduti e in esilio.
Mediante la costruzione impietosa di leggi economiche incontrollate in questo dopo guerra si è deportata un’intera popolazione, allontanandola dall’area racchiusa dalle antiche mura, con una barbarie più perniciosa e desolante di quella di Uraia e del Barbarossa: oggi ci accorgiamo di quanto sia stato insensato questo comportamento e, tardivamente, cerchiamo di portarvi qualche rimedio.
I milanesi hanno bisogno del Duomo, hanno bisogno di sentirlo al centro della vita cittadina, hanno bisogno di averlo ogni tanto davanti agli occhi. Se no, Milano non è più Milano, e i milanesi, nella confusione delle lingue e delle prepotenze, non si riconoscono più.
Qualcuno potrebbe pensare che questi ragionamenti, validi e pertinenti per il passato, oggi non siano più attuali; in particolare non abbiano più una valenza autenticamente religiosa. Ma bisogna andar cauti anche nell’essere scettici. In realtà chi vive da vicino la vita del Duomo e guarda con attenzione ai suoi numerosi frequentatori, sa che sono molti a Milano che ogni tanto sentono la necessità di entrare nella cattedrale, quasi a rianimarsi e a riguadagnare qualcuna delle antiche certezze. E non si meraviglia quando, a un appello chiaro e chiaramente ispirato alla fede, le folle immancabilmente si muovono, sì che non si fa mai fatica in quelle occasioni a riempire i vastissimi spazi del grande tempio.
Solo da pochi decenni si sono costruiti da noi palazzi più alti della guglia maggiore. Ma nel mare desolato dell’odierna esistenza, per moltissimi milanesi la Madonnina e il Duomo rappresentano ancora il faro più luminoso, il punto di riferimento più certo e più rasserenante. Agli uomini frastornati e delusi, la speranza del Regno di Dio e la consapevolezza di avere sempre nella Chiesa del Dio vivo «la colonna e il fondamento della vita» sono ancora capaci di ridare coraggio.